Questa volta dedicato ai paesi morenti del Trentino. Esce nel 1970 in prima edizione e nel 1981 in quarta edizione, riveduta ed ampliata.
Il libro si apre con la foto di una processione emblematica: 1966, gli abitanti maschi di Ischiazza sgomberano gli arredi sacri della chiesa e abbandonano il paese, inabitabile dopo un'alluvione. Una tremenda simbologia di rinuncia.
E' una lunga storia di paesi abbandonati quella trentina. Per peste, frane, alluvioni o perché troppo decentrati. Il libro racconta alcune di queste comunità che si sono spopolate lentamente nell'ultimo secolo, nelle quali resta solo qualche sparuto abitante con attorno il paese svuotato o addirittura nessun residente stabile.
Gorfer parla con i rimasti, si fa raccontare storie di persone e di cose, tradizioni, leggende e Faganello, come sempre, scatta. Tutte cose destinate a restare solo nella memoria dei vecchi e in questo testo.
"Sevròr, nella Pieve di Bono, giugno 1965
Poche case affondate nel verde, il saliscendi d'un viottolo, la chiesetta d'una contenuta letizia barocca, la fontana di contro al muro cadente d'un orto. Sevròr è tutto qui. Il silenzio è solenne tanto che vi vien voglia di bussare vigorosamente agli usci e di gridare: « Ohilà, siamo in un paese deserto?»
Proprio come è accaduto a me, dopo essere giunto all'ultima casa. Sola cosa viva era un bilancino per portare i secchi poggiato allo stipite di granito. Il fabbricato era largo e massiccio, col tetto a due falde che scendeva verso la chioma d'un noce. Dal di dentro usciva un cadenzato tonfo, come se qualcuno battesse i piedi sull'impiantito. Finalmente un viso di donna si affacciò dall'assito presso il ballatoio: « Non c'è nessuno - chiesi - in questo paese? ». La donna - portava il fazzoletto annodato sotto il mento secondo l'uso giudicariese - rispose che i più se n'erano andati e che le case erano sbarrate e che erano rimasti i vecchi e i nostalgici.
Più tardi m'incontrai con i pochi abitanti usciti, a tanto chiasso, sulla stradicciola nonostante che dal Melino stesse arrivando un temporale. Seppi che Sevròr, frazione di Praso nella Pieve di Bono, è un villaggio in disarmo. Uno dei molti, cioè, del Trentino minore che vengono abbandonati dalla gente e che tra pochi anni si tramuteranno in casali sperduti sui monti.
Attualmente (1971) vi risiede una ventina di persone; ma nel dopoguerra ce n'erano fino a cinquanta."
E' un libro malinconico e pessimista, pieno di nostalgia per cultura e radici perse, abbandono del territorio, morte delle comunità, di storici ippocastani tagliati.
Nel 1981 Gorfer torna a visitarne alcuni, e nella quarta edizione del libro scrive: "Cambiamenti ve ne sono stati si, in peggio. I villaggi trentini che stanno morendo sono un po' più morti, un po' più soli e abbandonati."
Nel censimento del 2001 Sevròr risulta avere 13 abitanti, Iron non risulta, Margon che nel 1970 aveva 49 abitanti, nel 2001 ne ha 35. Padaro passa dai 128 del 1915 ai 44 del '69, ai 64 del 2001. In leggerissima crescita. Troppo leggera per sperare in una rinascita.
A me il paragone con i masi altoatesini nasce spontaneo, a voi?.
Nessun commento:
Posta un commento