giovedì 27 marzo 2008

Altri tempi, stesse vite

bece Lagorai

Marzia, altre pecore, altre montagne, altri tempi, stessi problemi mi pare.

"Prima della guerra del '14, pastori a Pieve (Pieve Tesino, ultimo lembo orientale del Trentino ai piedi della catena del Lagorai. N.d.f.) ne erano rimasti tre, ma prima ancora ce n'erano molti di più, anche di Cinte e di Castello. Mio nonno per esempio ha sempre fatto il pastore: è nato col bastone in mano e col bastone in mano è morto.

Ognuno aveva la sua zona per i pascoli: chi Cima d'Asta, chi Prà della Madonna, altri l'Altanè o Lefre o il Piado. In inverno andavano verso al pianura veneta.

Questo diritto di svernare in Veneto, la conca del Tesino o aveva ricevuto dallo Stato Veneto come ricompensa, perché aveva dato degli uomini per combattere contro il vescovo di Feltre. Poi è venuta l'Austria e ha messo i dazi. Per esempio c'era una legge che i pastori, quando rientravano nella valle, dovevano avere lo stesso numero di pecore che avevano all'uscita delal conca, se no pagavano un dazio. Allora d'inverno le pecore si mettevano nella stalla e se c'erano delle belle giornate si portavano a pascolare sul Coldanè o in Pradelan.

Dopo il '18 si è potuto di nuovo tornare nella pianura senza pagare dazi, e allora si andava nella zona di Pordenone, dove ci sono terre sterili, i "magredi", oppure sul Montello o verso il Tagliamento o alle Badoere.

Dal giorno di S. Martino fino a S. Marco si poteva pascolare liberamente dappertutto, anche sui terreni privati, poi era permesso solo sul suolo comunale.

Ogni pastore aveva 60-70 pecore, una trentina delle sue e altre prese dai privati. Come ricompensa al pastore spettava la metà dei nuovi nati e tutta la lana del taglio di primavera. La lana si tagliava due volte: dopo la metà di febbraio e ai primi di settembre.

In genere bisognava essere in tre. due sempre dietro al gregge e un altro che andasse a fare la polenta dai contadini. Di notte si stava sempre all'aperto, anche coi fulmini, anche sotto la neve. Si metteva per terra delle canne, sopra della paglia e le pelli; per ripararsi le coperte e un'altra tenda sopra, e si dormiva per quattro o cinque ore.

Ho fatto il pastore fino al '46. Quell'anno sono partito il 22 di dicembre da solo, con un cane e 60 pecore, sono sceso giù per il Murello e sono arrivato fino al Tagliamento, a Caorle."

Annibale Rippa, (1883-1972) intervistato da Elda Fietta Ielen nel 1969.
Fonte:
Elda Fietta Ielen
"Con la cassela in spalla: gli ambulanti di Tesino"
Editori: Priuli & Verlucca, Quaderni di cultura alpina
Ivrea, 1987
Fuori catalogo :(

4 commenti:

  1. grazie!!!!!
    bella testimonianza... altri tempi, oggi per fare il pastore servono "altri numeri", con 60 pecore sei un hobbista!

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  2. Francesca,
    non so credo che francamente sia cambiato tutto, tranne una cosa che accomuna chi vive ed anche ha un reddito dal mondo animale, l'amore che si manifesta in forme diverse, anche per i cosidetti ricchi allevatori di pianura. "Vivere di animali" non è comunnque un lavoro normale, non è qualcosa da cui ti puoi staccare così facilmente, come quando hai timbrato il cartellino o sei tornato a casa dall'ufficio.
    Per il resto è proprio cambiato molto, sopratutto le dimensioni. Quante famiglie, compresa quella di mia madre,hanno popolato le Alpi e vissuto numerose, loro erano cinque fratelli, con pochi capi di bestiame. Altro mondo, altre esigenze.... altro tutto. Non so se era meglio o se era peggio, forse come dico tante volte, avremmo dovuto migliorarlo, come è stato fatto ma poi avere il coraggio di fermarsi. Non andare oltre, avere il coraggio di accontentarsi. Oggi secondo me siamo andati ben oltre il limite del non ritorno (se continueremo così) anche nel settore zootecnico (e qui lo dico con cognizioni di causa). Cmq un po' fiducioso nelle nuove generazioni lo sono, qualcosa si muove, si deve muovere, se no è veramente drammatico.
    Ciao
    Guido

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  3. Marzia e Guido, le dimensioni di un gregge, i numeri, han colpito molto anche me. Quel che vedo di molto simile fra le due epoche e' la burocrazia che ti rincorre e la passione che ci vuole per continuare un lavoro duro, faticoso, scomodo e socialmente non riconosciuto.

    Per il resto del tuo ragionamento, Guido, condivido tutto. Il mio babbo mi diceva quando ero bimbetta, tanti anni fa: renditi conto di essere fortunata, perche' la prossima generazione queste cose non le vedra'

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  4. sì, stiamo andando troppo oltre... ed è anche colpa di politiche sbagliate che premiano i grandi numeri e non la qualità!

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