domenica 21 luglio 2013

Una banda di idioti (*)

Sono stupidaggini, lo so. C’è “ben altro” per cui scandalizzarsi che per squallidi vandali di piccolissimo cabotaggio. Niente di irrimediabile, non hanno cotto nel forno Picasso o Monet, non hanno cementificato un’altra cima, nessuno si accorgerà del loro sgradevole gesto. Resta l’antipatia per persone che non trovano meglio da fare che rovinare una piccola opera collettiva.

Lungo la strada che porta al Timmelsjoch – Passo Rombo sono stati realizzati alcuni punti informativi, che possono piacere o fare orrore (a me non dispiacciono), che preludono ed accompagnano fino al Museo del passo. Presso uno di questi punti informativi ci sono due pietroni piatti sovrapposti che formano quasi un tavolo della dimensione di poco più di un metro quadrato. Sopra questo tavolo, costruiti da centinaia di mani diverse nel tempo, una miriade di ometti di pietra alti al massimo 30 centimetri. Credo che in pochi, fermandosi a quel tornante, abbiano resistito alla tentazione di porre una pietruzza sopra le altre, di trovare un angolino per dare inizio ad un altro ometto, come per dire: anch’io ero qui.

Entrando nella pancia del punto informativo noto una allegra famigliola tamarra che sta biascicando i suoi panini accanto agli ometti, berciando sguaiata. Quando esco dalla breve visita ai tabelloni i tizi stanno salendo in auto. Al posto loro qualche cartaccia disseminata e la devastazione degli ometti. Nemmeno più uno in piedi. Credo siano bastati pochi secondi per passare una bracciata sulle fragili torrette e buttar giù tutto. Mi sto ancora chiedendo perché. Che gusto ci sarà mai a rovinare per rovinare?

Ometti

Prima (**)

ometti passo Rombo

Dopo

Tutto qui, direte? Sì, tutto qui. Non hanno spaccato gli espositori, non hanno lasciato graffiti sui muri, non hanno cancellato le scritte esplicative (ci aveva già pensato qualcun altro prima di loro, a grattar via parte delle didascalie). Hanno solo fatto diventare un mucchio informe di pietre senza significato quello che anche prima era un mucchio di pietre. Però pieno di significato.

E no, non lo dico com’era targata la loro auto, che a fare di tutte le erbe un fascio e generalizzare si fa molto presto e addossare a un intero popolo la mancanza di rispetto di 4 suoi rappresentanti è una fin troppo facile tentazione.

Ho dato inizio ad altri 5-6 ometti, per far capire a chi passerà in futuro cos’era quell’ammasso amorfo di sassi e magari stimolarne la rinascita.

PS: qualcuno si immagina cosa potrebbe succedere se a queste brave persone venisse in mente di fare un giretto agli Stoanerne Mandln di Sarentino? Brrrr!

cit. (*)

(**) immagine poco chiara estrapolata da una ripresa con la GoPro. Avessi saputo come l’avrei trovato poco dopo, avrei scattato con la Nikon

sabato 20 luglio 2013

Latemar un anno dopo

In Latemar c’è ancora neve. Non tantissima, ma qualche chiazza anche in posti dove, a questa stagione, non ricordo di averne viste mai.

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fine giugno 2012 14 luglio 2013

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idem
Il mitico, azzurrissimo, piccolo specchio d’acqua verso la forcella dei camosci è sepolto sotto la neve e anche il tratto di sentiero che lo supera (se ne intravede la traccia sulla destra nella prima delle due fotografie qui sopra) è ben innevato.

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come sopra

Anche il grande anfiteatro, rivolto a est sud est, ha ancora molte chiazze bianchissime. Molti fiori, compresi quelli primaverili: soldanelle, geum, interi costoni rossi di rododendri.

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geum e rododendri

(Anche un mare di escursionisti, a dirla tutta: il pegno che si paga ad andare di domenica :S)

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CAI di Camisano vicentino
E per l’ennesima volta, al grido di “però oggi stiamo attenti e non scendiamo per la direttissima che è tutto uno sfasciume e par di avere i roller ai piedi”, arrivati al bivio fatidico, l’amico che ci precedeva non ha capito un piffero e non solo ha preso la direttissima ma ha pure sbagliato e si è scapicollato giù per uno sgrebeno che ha definito, bontà sua, “impegnativo”.

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martedì 9 luglio 2013

Gli eremiti della montagna

vallagaFlaggerschartenhütte – Rifugio forcella Vallaga (Alpi Sarentine)

Ho trovato in rete, sul sito Fortezza open Archive, la copia di un articolo a firma Grazia Negro pubblicato sul defunto quotidiano “Mattino dell’Alto Adige” il 19 ottobre 1989. E’ il resoconto di una chiacchierata con una collaboratrice degli allora gestori del rifugio Forcella Vallaga Giovanna e Mario Coccia, che mi piace riproporre ai miei 15 lettori.

Negli anni il rifugio, proprietà del CAI di Fortezza, ha superato diverse difficoltà di gestione, un anno è addirittura rimasto chiuso, costringendo gli escursionisti impegnati nello splendido trekking “ferro di cavallo” (comprese le due spatuzze, ovvero mia sorella Val e la sottoscritta) a sobbarcarsi un bel po’ di dislivello per scendere a dormire in valle e risalire il giorno appresso. Da qualche anno è gestito da Manfred Niederkofler e pare abbia ritrovato l’equilibrio.

“Gli «eremiti della montagna» al servizio degli alpinisti

Quant'è aspra e ingrata
la gestione di un rifugio!

Il racconto d' un'esperienza al « Vallaga»

Nella nostra zona di confine i coniugi Giovanna e Mario Coccia sono gli unici gestori italiani di un rifugio. I problemi dei collegamenti e dei rifornimenti. La riscoperta di una diversa “dimensione” della vita.

Può risultare difficile spiegare il valore di un'esperienza che esula dai canoni del “tutto subito senza fatica”, tipici del nostro tempo; altrettanto problematico spiegare agli altri, ma prima di tutto a sé stessi, le motivazioni che conducono a questo tipo di scelta, che sono un condensato di un bisogno fisico di stare nella natura, di un tentativo di riscoprire la dimensione manuale della vita, della necessita di chiarire la direzione della propria esistenza, al di fuori di qualsiasi condizionamento passibile. Lesperienza a cui mi riferisco, vissuta da me in prima persona quest'estate, è la vita e il lavoro in un rifugio alpino, il rifugio Vallaga del CAI di Fortezza, che si trova a quota 2481 m. nel Monti Sarentini. L'atmosfera dei monti che circondano il rifugio è impervia e selvaggia, quasi incontaminata e l'abitato si inserisce bene in questo contesto, anche grazie al suo raggiungimento non proprio agevole: (5/6 ore da Mezzaselva; 2 ore da Valdurna; 4 ore da Passo Pennes; 4/5 ore dal rifugio Croce di Latzfons)

La giornata comincia presto per i gestori, i signori Coccia di Bressanone: la signora Giovanna deve riscaldare la Stube, preparare la colazione e i successivi pasti. Il signor Mario deve provvedere al funzionamento di tutte le macchi­ne del rifugio (gruppo elettrogeno, pompa dell'acqua ecc.) Per me ed Evi, l'altra ragazza tuttofare, la sveglia suona alle sette, solo raramente prima; dopo un ascolto veloce delle notizie e del bollettino del tempo alla radio, l'unico, mezzo di contatto, insieme ai Gäste, con il mondo, passiamo a servire le colazioni, a rassettare la cucina e la Stube, i bagni, infine le camere e il Lager. Questi lavori ci occupano fino a metà mattinata; segue la merenda e poi un po' di tempo libero da sfruttare per la lettura o per qualche passeggiata nei dintorni.

L'arrivo di qualche montanaro mattiniero può però far saltare questa pausa e costringerci ad attivare la cucina, con gli ottimi minestroni, canederli e gulasch della signora Giovanna, già alle 10 di mattina!

Fino a pomeriggio inoltrato si servono i pasti e le bibite e se va bene, prima della cena, c'è tempo per un altro stacco. La gioia più grande consiste nel finire tutti i lavori la sera e potersi sedere al tavolo e fare una partita a carte.

vallaga interno
Interni del rifugio

Riuscire a leggere un giornale, magari di due o tre giorni prima; vedere Aldo e Franco che ogni settimana portano a spalla tutti i viveri deperibili, (pane, verdura, carne ecc.) e anche qualche messaggio da casa, qualche lettera o qualche alimentare di "lusso" (frutta, yoghurt ecc.); mangiare un gelato portatoci in via eccezionale da Otello o uno yoghurt particolare, promesso e poi infilato nello zaino da Günther; scendere un giorno di brutto tempo di corsa a Valdurna e ritornare dopo aver fatto cinque o sei telefonate; la visita di qualche amico: tutti questi eventi per me costituiscono una festa.

Altrettanto bello e importante è scappare, appena posso, nella natura, nel suo silenzio, sulla Cima di S. Giacomo o sul Corno di Tramin, o anche solo ai laghetti intorno al rifugio; contemplare lo spettacolo della luna piena che sorge, riuscire a fare colazione, ancora assonnata, all'aperto, pensare a Bressanone ed immaginarla oltre ai monti. L'atmosfera famigliare ed accogliente che i gestori imprimono al rifugio, le chiacchierate con i Gäste, simpatici e solo assai raramente poco disponibili, alleviano la fatica fisica, che a volte si sente di più, specialmente nei giorni di festa e fanno arrivare presto la sera, le ultime canzoni ascoltate con il Walkman prima di addormentarsi.

La scansione lunga e dilatata del tempo, e non stressante come a valle, la rivalutazione delle piccole comodità quotidiane, che l'altitudine fa cadere nelle dimenticanze, l'importanza dei contatti umani e dei piccoli gesti, la bellezza sempre nuova della natura e la sua completezza rispetto ai nostri vuoti, questi, credo, gli elementi della lezione di vita che ho appreso e che consiglierei a tutti.”

Chiedo venia per i refusi, anche il miglior OCR si incasina con l’immagine spiegazzata di un articolo di giornale!

articolo vallaga

(Dal racconto di Grazia Negro non pare di scorgere una vita “aspra e ingrata”, sebbene non comoda: anzi lei sembra contenta dell’esperienza. A meno che non manchi all’articolo qualche chiosa dei gestori pubblicata a parte).