martedì 29 settembre 2009

Carezza un anno dopo

Temevo giusto, un anno fa: "tremo all'idea di come sarà a lavoro terminato, che con la scusa della valorizzazione, della sicurezza, della risistemazione sta passando ogni nefandezza. Le premesse ci sono tutte anche qui."

Sono andata a vedere.

La cosa che salta all'occhio prima ancora di arrivare, è il mucchio di macchine parcheggiato a bordo strada, esattamente come prima dei lavori. Compresa la mia :P.

parcheggio vuoto... strada piena


Ma come mai, se è stato asfaltato un comodo spiazzo apposta per evitare il parcheggio selvaggio? L'accesso allo spiazzo è chiuso con una sbarra ed è diventato parcheggio a pagamento, con una "comoda" cassa automatica da cercare nella costruzione accanto. Quando mai si paga potendo parcheggiare gratis? E infatti il parcheggio è quasi vuoto, mentre gli slarghi a bordo strada rigurgitano auto messe in ogni maniera. Quindi il tunnel che dovrebbe impedire il via vai della gente sul bordo della strada e il suo attraversamento, costruito per evitare "I pericoli individuati [...] nonché l'attraversamento della strada per raggiungere il lago.(*)" non elimina il problema per il quale è stato costruito a meno che non si istituisca il divieto di sosta lungo la provinciale, e, soprattutto, non ci si metta una pattuglia di vigili ad assicurarne il rispetto.

E che dire del mostro di cemento, rivestito di legno che pare cemento pure lui, che nasconde il tunnel? Orribile, straniante, squallido, totalmente fuori ambiente. Una costruzione lunga, boh, una 40ina di metri? che ospita un negozio di abbigliamento e cazzatine souvenir, chioschi, un bar, e l'accesso al sottopassaggio. Un corridoio di cemento con pareti di cemento separa il primo edificio da un secondo, di cemento, che ospita un altro bar. Nel corridoio di cemento (sisi, reitero volontariamente la parola cemento) tavolini, panche, sedie.

clicca sulle immagini per apprezzare in grande


""Il lago - ha spiegato il Presidente della Provincia - diventa quindi raggiungibile dal parcheggio attraverso una rampa sotterranea lunga 42 metri, realizzata in cemento a vista, rivestita e coperta con il pregiato legno della foresta demaniale del Latemar.(*)" Il cemento a vista è proprio a vista, signor presidente. Se l'ha inaugurato avrà avuto modo di vedere, immagino. Assomiglia a un sottopassaggio "ai treni" di una stazione ferroviaria. Dalle linee molto austere, illuminato piuttosto sobriamente (leggi semibuio), brutto, inquietante, claustrofobico: al mio passaggio risuonavano i miei passi in modo un po' lugubre. Probabilmente in agosto sarà pieno di gente che va e viene, adesso mette un po' di soggezione.

Sottopassaggio al lago

La rampa termina in una galleria/budello di pietre a vista (immagino un bell'ingorgo da collo di bottiglia, in pieno agosto, quando i turisti saranno centinaia) che sfocia sul sentierino che porta alla nuovissima piattaforma di legno con vista lago.

Sulla destra del tunnel parte il sentierino che porta alla passeggiata a lago, alta alcuni metri sopra la spiaggia; spiaggia che resta separata dalla gente da un solido steccato e da un cartello che ne vieta il superamento. In sostanza, il lago si può solo vedere, non si può fruire in nessun modo. E' concessa una passeggiatina di un centinaio di metri e ritorno. Fine.

Guardare e non toccare

In compenso, quel trespolo in mezzo all'acqua che, dalla riva, non si riesce a capire cosa sia e che al momento sembra una medusa o la gobba di Nessie, è un'opera d'arte dello scultore Rinaldo Cigolla. Ci ho messo un tot a capire che la targa piazzata sul sentiero si riferiva al coso che spuntava laggiù e del quale mi stavo chiedendo l'origine da un quarto d'ora. E me ne sono andata col dubbio: per rassicurarmi, appena tornata in studio, ho controllato in rete: quando il lago è semivuoto l'opera d'arte sarebbe questa:

Ondina si asciuga i capelli in mezzo al lago. Rinaldo Cigolla. (fonte: Panoramio, foto di Margherita)

A lago pieno, si vede questo:

Spero mi si perdoni se non ho capito al volo che era l'ondina della leggenda.

Il lago, per fortuna, è sempre bello, per ora, colorato e affascinante a prescindere dagli uomini e dai loro interventi demenziali.

Lago di Carezza, bello nonostante

Quello che mi rattrista di più, più dell'obbrobbrio costuritogli attorno, è la natura da guardare ma non toccare, la natura sotto vetro, impossibile da fruire. Giusta salvaguardia di un luogo troppo visitato? Gestione del paesaggio e dei beni ambientali demenziale?Ai posteri l'ardua sentenza.

Brrrrrr!

 

(*) (fonte: comunicato stampa della Provincia di Bolzano)

sabato 26 settembre 2009

Impossibile resistere

Christian Cristoforetti, immagine tratta dal libro "Pastori nelle Alpi"

Ci casco ogni anno, e ogni anno torno a casa scornata, ma quando sento la parola "libro" non ce la fo proprio a resistere. Insomma, anche quest'anno sono andata in piazza Walther per vedere Montagnalibri, il padiglione dedicato all'editoria di montagna del TrentoFilmFestival, in trasferta a Bolzano dal 17 al 27 settembre. E, puntuale come gli anni scorsi, torno a casa con le pive nel sacco, e pure incazzata dopo aver visto lo stesso padiglione in piazza Fiera a Trento la scorsa primavera: lì ci passi una giornata e te ne esci con un elenco di libri da comprare oltre al pacco di libri comprati. Qui, mi chiedo cosa cavolo lo mettano in piedi a fare.

Non ripeto le geremiadi dell'anno scorso, la merce esposta era la stessa. Metri di fotolibri da 50 euro l'uno che "visto uno visti tutti" (cit.), guide, biografie di alpinisti, qualcosa di storia (poco) di antropologia (pochissimo) qualche romanzo... bah.

Mi limito a raccontare che ho preso in mano e sfogliato, finalmente, "L'Uomo di nuvole e di lana", di cui ho parlato l'anno scorso. Marzia, l'ho guardato anche per te: belle foto, molto belle, un bel fotoracconto. Interessante la fotosequenza dell'attacco dell'orsa con i piccoli al gregge. Ma i testi mi han fatto venire il latte alle ginocchia. In seconda persona singolare, "tu pastore che hai bla bla, quella mattina che hai visto bla bla...quando ti alzi bla bla" enfatici e sospirosi.

Molto più interessante da leggere e da sfogliare, con le foto altrettanto belle del trentino Christian Cristoforetti, il libro "Pastori nelle Alpi", di cui si è già parlato qui. Scaricabile gratuitamente dal sito Alpinet Gheep.

Amen. L'anno prossimo, se ci ricasco, siete autorizzati a spernacchiarmi a vita.

Link:
Sul sito di Nital, intervista a Christian Cristoforetti a proposito del fotolibro "Pastori nelle Alpi"

venerdì 25 settembre 2009

La Strada delle Dolomiti

C'era ancora il Kaiser quando il 13 settembre del 1909, 100 anni fa, venne inaugurato l'ultimo tratto della "Grande Strada delle Dolomiti", l'arteria che collega tuttora Bolzano, Cortina e Dobbiaco attraversando la Val d’Ega, il Passo di Costalunga, la Valle di Fassa, il passo Pordoi, il Falzarego, Campolongo.

Theodor Christomannos (a destra), 1896 ca, foto Franz Dantone.
Fonte
Wikimedia commons, Copyright scaduto.

Fortemente voluta da Theodor Christomannos, avvocato nato in Grecia ma di nazionalità austriaca, con studio professionale a Merano, appassionato di montagna, per diversi anni segretario del club alpino austrotedesco DÖV, che intuì già allora le potenzialità turistiche della zona dolomitica e comprese l'importanza di un'unica strada che ne collegasse fra loro le vallate. Uomo di grande lungimiranza, se si considera che la prima automobile arrivò a Cortina nel 1894 proveniente da Innsbruck e dovettero passare 9 anni prima che giungesse un'auto proveniente dall'estero: arrivava da Ferrara con a bordo il marchese di Bagno e i conti Monti nel 1903, mentre il primo colpo di piccone per il tratto che collegava Canazei ad Arabba, attraverso il passo del Pordoi, era già stato dato nel 1897.

L'intera opera costò 1.115.400 corone, richiese lo studio di soluzioni innovative sia per la quota alla quale si doveva lavorare, sia per la friabilità del terreno in particolare al passo Pordoi; vi lavorarono circa 2.500 operai con una paga giornaliera di 3 corone; fra la val di Fassa e Arabba la strada conta 61 tornanti, ha una pendenza massima del 7,9% e una pendenza media 6,7%; raggiunge la quota massima di 2239 metri al passo Pordoi, dove è da poco stato restaurato l'obelisco commemorativo inaugurato nel 1905 che riporta i dati tecnici dell'opera e una targa a con i nomi degli ingegneri Vittorio Dal Lago e Alfredo Riccabona che lavorarono alla sua realizzazione.

Nata soprattutto per fini militari, correva infatti lungo il confine con l'Italia, la strada aprì invece le porte del progresso e del mondo alla gente delle valli, e a una nuova forma di economia rivoluzionando la cultura e lo stile di vita di intere vallate: "senza strada nessun hotel, senza hotel nessuna strada" era il motto di Christomannos. Senza Hotel nessun turismo, possiamo agiungere noi, e nessuno sviluppo. Come si sia evoluto il turismo poi, con il suo buono e il suo cattivo, cosa abbia portato e cosa abbia distrutto, è davanti agli occhi di tutti.

A Christomannos è dedicata una delle Torri del Latemar e un'aquila di bronzo ai piedi delle pareti del Catinaccio pochi minuti a monte del rifugio Paolina.

Monumento a Christomannos sopra il passo di Costalunga - cartolina - fonte: progetto Cartoline del Trentino a cura della Biblioteca comunale di Trento - Catalogo Trentino di Immagini

I festeggiamenti per il centenario ci sono già stati, ovviamente, arrivo in ritardo, ma mi è venuta in mano stasera una pubblicazione della Nuova Editoriale Atesina srl, editrice dell'ormai defunto quotidiano locale "il mattino": "Dolomiti in cartolina" di Giuseppe Tomasoni, uscita a fascicoli insieme al giornale nel 2002. Fra le vecchie cartoline raccolte nel volume ce ne sono alcune della Grande strada delle Dolomiti in varie epoche: forse vale la pena mostrarne un paio:

Verso Carezza - 1906 ca

Passo Pordoi - 1919 ca 

Passo Falzarego - 1920 ca 

Passo Sella - 1938 ca

domenica 20 settembre 2009

Giocare pulito

 

Quando si partecipa a una gara, ci sono delle regole da rispettare: non si invade la corsia altrui, non si fa lo sgambetto all'avversario, bisogna partire da qui e arrivare lì, non bisogna usare attrezzi diversi da quelli ammessi dal regolamento, non bisogna drogarsi, usare aiuti esterni eccetera eccetera.

Stessa gara, stesse regole per tutti. Che senso ha, allora, cercare di diventare la prima donna che ha salito tutti gli 8.000, quando c'è chi va da un campo base all'altro in elicottero, sale con l'ossigeno, con la corte di portatori che attrezzano preventivamente ogni passaggio, e chi sale leggero, in stile alpino, portandosi il campo in groppa, e senza ossigeno?

E ancora, ha senso considerare l'alpinismo una gara? Per Nives Meroi no. Nives si tira indietro, non gioca più, non rinuncerà al suo stile e alla sua etica di alpinista per essere la prima.

«Mi tiro fuori serenamente da questa frenetica competizione, non sono più in gioco» dice al Corriere qualche giorno fa (grazie Silvia per la segnalazione!) "Ognuno può scalare come vuole: in stile alpino, come ho sempre fatto io con mio marito, oppure con l'aiuto dei portatori di alta quota, con le corde fisse piazzate ovunque o con le bombole di ossigeno. Ma è chiaro che così non si "combatte" ad armi pari. Non scendo a compromessi e non abbandonerò il mio modo di andare in Himalaya per un primato(*)"

"A questo punto - conclude - mi auguro che 'vinca' la coreana in modo che finisca al più presto tutta questa frenesia che rischia di diventare estremamente pericolosa e forse allora si potrà ricominciare a fare dell'alpinismo"(**).

Buon compleanno Nives, sarai sempre la più grande, come dice di te il tuo amico Erri De Luca: "Tre alpiniste hanno già scalato undici di quelle immensità e si avvicinano al traguardo. La più forte di loro e di tutti i tempi si chiama Nives Meroi ed è italiana. Come posso stabilire la sua superiorità, visto che sta alla pari dei risultati delle altre due, una basca e un' austriaca? Perché Nives Meroi ha salito le sue cime asfissianti senza uso di bombole di ossigeno e senza impiego di portatori di alta quota, i climbing sherpa. [...] Dove più schiacciante è la superiorità della natura, lei e suo marito mettono in gioco il loro corpo e nient' altro sostegno. Praticano regole di ostinata lealtà con la montagna. Le altre due alpiniste intendono diversamente l' impresa, una ha impiegato ossigeno, l' altra adopera portatori di alta quota che si sobbarcano di tutto il peso sulle spalle, scavano la piazzola, montano la tenda e fanno trovare il tè caldo già pronto(***)"

(Ora sono 4, si è inserita in gara anche una coreana, la più tecnologica, sponsorizzata, aiutata, spinta, elicotterata alpinista del mondo)

PS: Stasera l'indirizzo del sito ufficiale di Nives e Romano punta da tutt'altra parte: spero si siano solo ubriacati i server DNS e che torni presto in linea.

 

(*) Corriere della Sera
(**) ANSA Valle d'Aosta
(***)
Wikipedia cita
Erri De Luca, Corriere della Sera, L' intimità domestica sulle cime del mondo Ecco il segreto di Nives

sabato 19 settembre 2009

Le marmotte in tribunale

Marmotta in Dolomiti

In Italia, finora almeno, è vietato sparare alle marmotte. Ma in Alto Adige, secondo la legge provinciale sull'attività venatoria, la marmotta è cacciabile se “a causa della sua eccessiva proliferazione mette a rischio l’equilibrio ecologico, l’agricoltura, la gestione forestale, la gestione ittica, la fauna selvatica o la pubblica sicurezza." E chi lo stabilisce se mettono a rischio bla bla? Un decreto del presidente della Giunta Provinciale Kaiser Durni, cacciatore, che fissa il numero degli animali da abbattere e le date di apertura e chiusura della caccia: per il 2009, 1.026 capi nel mese di settembre (chissà da dove spuntano, peraltro, quelle 26 marmotte lì.)

Ogni anno c'è un tiramolla fra Provincia, Verdi e animalisti che, a colpi di ricorsi, cercano di bloccare il decreto. Nel 2007 il TAR, su esposto della LAV, aveva prima sospeso e quindi annullato un identico decreto di abbattimento di quasi 2.000 roditori perché non era possibile provare che fossero fonte di simili pericoli; al contrario, nel 2005, annullò la sospensione provvisoria del piano di abbattimento e riaprì la caccia entro il limite massimo di 2400 esemplari.

Anche quest'anno il TAR ha bocciato il ricorso della LAV, riconoscendo la fondatezza delle argomentazioni di cacciatori e provincia: 1.000 esemplari, fra l'altro, su un patrimonio provinciale stimato di circa 50.000 capi, sono ampiamente sotto la soglia del 5% previsto dalla normativa.

Ma la LAV, non si è data per vinta: mentre già le doppiette sparavano, si è rivolta al Consiglio di Stato che ha accolto le  argomentazioni dei suoi avvocati annullando la sentenza del TAR e "sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato in primo grado fino all'esito dell'esame collegiale dell'istanza cautelare(*)"

Il riesame collegiale è fissato per il 6 ottobre, fino a quel giorno le marmotte sono tutelate.

Marmotta in Maddalene

Io ovviamente fo il tifo pro marmotta e faccio la hola per il consiglio di Stato. So benissimo che 1.000 marmotte su 50.000 sono poche, che forse è meglio un colpo di fucile che morire di fame perché troppo numerose, o sbranate da un'aquila o da un cane. Ma sono un'inguaribile sentimentale, vederle giocare fra loro o prendere il sole su un sasso o correre con i loro culoni ondeggianti e infilarsi nella tana è bellissimo; le marmotte imbalsamate, al contrario, mi fanno semplicemente orrore.

(*) fonte: "Corriere dell'Alto Adige" di oggi 19 settembre

venerdì 18 settembre 2009

Fumo a Costabrunella

Lago di Costabrunella - Lagorai

"E di sotto la neve che se ne va appaiono mille laghetti, taluni ancora fioriti di gelo, ancora freddolosi ai piedi delle pareti nere (...). Il comando ha il suo lago (di forcella. Magna, n.d.A.), sorgono (...) attorno le baracchette, qualche tenda, la malga di sasso che la 5" bat­teria (...) s'è fabbricata con bella imprudenza proprio in vista alle posizioni nemiche del Cauriol e della Busa Alta.(…) I suoi sette od otto laghetti ce li ha la 265° (laghetti dell'Aia Tonda, di Reganèl, di Lastè, di Conte Moro, n.d.A.), uno ne hanno i cucinieri, uno i calzolai, uno fosco, solitario, sta lassù per Cima d'Asta e se lo gode un piccolo posto di vedetta.(1)”

Arrivarci dall'alto, a Costabrunella, è un colpo al cuore. Si gira il costone a forcella Quarazza ed eccolo lì, un occhio azzurro profondo, inaspettato per quanto atteso; e tornano in mente le parole di Paolo Monelli:

Ma il lago più bello non l'ha nessuno, perché adesso è in seconda linea ed ha un nome così romantico che a ripeterlo adagio con il suo ritmo novenario si fantastica di cose impossibili e si pensa alla bambina: il lago di Costa Brunella.(2)"

Camminiamo da tre giorni fra resti di trincee della prima Guerra Mondiale e su strade militari, ogni tanto spunta un rotolo arrugginito di filo spinato, resti lignei di baraccamenti, si pranza fra i resti di una cittadella militare ancora ben conservati, e non pensarci è difficile.

forcella Buse Todesche - resti di trincee

E quando si alza la nebbia, come succede tanto spesso attorno a Cima d'Asta, torna in mente un altro scampolo di storia recente, raccontata meno spesso, nota a pochi: emigrazione e diaspora, e morti premature contribuirono a far scordare pagine di storia drammatiche e importanti.

"I patrioti si fanno sentire per la prima volta nell’agosto 1944. Provengono dal Feltrino e si stabiliscono a Costabrunella e lassù formano il Battaglione G.Gherlenda. Pochi di numero, danno ai tedeschi l’impressione di essere in molti e ben agguerriti; il popolo condivide questa impressione di forza. [...]

Quando venne il giorno fissato per la partenza, "Fumo" provvide alla distribuzione delle vettovaglie per 4 o 5 giorni e alla consegna delle armi: 2 mitra, 8 parabellum, 11 moschetti (mod. 91), 5 carabine, 1 fucile, 1 steyr (tapum), 1 mauser, 10 pistole e 8 bombe e varie munizioni. L’equipaggiamento consisteva in 18 zaini e 23 coperte. Per comunicare con il comando di brigata c’era un cifrario convenzionale e i collegamenti erano tenuti tramite staffette (maschili).

Il comandante "Bruno" li raccolse sulla piazzetta antistante il magazzino della Casera Pietena, sede del Quartier generale della brigata: rivolse loro parole appropriate, li salutò e li abbracciò uno ad uno. Partirono in 29, il comandante "Fumo" in testa, la sera del 21 agosto verso le 18, mentre imperversava un violento temporale. Scomparvero oltre la forcella al posto di blocco 69, destinazione Costabrunella. Durante quella prima notte giunsero a Malga Vallazza e fecero sosta. [...] e alle 18 del 25 agosto arrivarono a Costabrunella, dove stabilirono il comando insediandosi al terzo piano e nella soffitta della casa del custode della diga. Per prima cosa "Fumo" predispose tre posti di blocco: il primo fu istituito presso la centrale idroelettrica di Sorgazza; il secondo alla malga del Lago a circa 200 metri sotto la diga e il terzo nei pressi della Forcella Quarazza a difesa degli accessi da val Quarazza, dalla Forcella Segura e dalle valli limitrofe.

Ebbe così inizio "una delle più belle pagine della resistenza in Trentino(3)"

Diga di Costabrunella con la casa del custode, rimasta più o meno come allora - foto Edo

Il 14 settembre 1944, sotto il comando di Isidoro Giacomin, il comandante Fumo, il Gherlenda si rese protagonista di un'azione di cui riferì anche Radio Londra: la presa della caserma tedesca del Corpo di sicurezza trentino di Castel Tesino. 50 prigionieri senza colpo ferire, un importante bottino di armi, uno smacco che ai tedeschi rimase per traverso.

Il giorno dopo, il 15 settembre, il guardiano della centrale ENEL di malga Sorgazza notò nel primo mattino movimenti di truppe tedesche: intuendo cosa si stava preparando avvisò per telefono i partigiani acquartierati a Costabrunella, 600 metri più in alto fra i monti.

Alle 9 e mezza i primi tedeschi trovarono ad accoglierli poco sotto al lago i mitra di Vento, Vittoria, Renata e Leo. Ma la nebbia, quella volta, giocò contro: con la visibilità normale nessuno sarebbe riuscito ad attraversare l'area scoperta dal bosco ed avvicinarsi alla diga senza essere visto ed immediatamente falciato da una raffica; i nazisti invece sciamarono da ogni angolo occultati dalla nebbia, in 300 contro i 73 partigiani, avvicinandosi sempre più pericolosi. Le squadre di Fumo non riuscivano a vedersi nemmeno fra loro, le bombe a mano fregate il giorno prima mancavano di detonatore e non funzionavano e il comandante non riusciva più ad avere un'idea completa di quello che stava succedendo. Le cose stavano precipitando, meglio abbandonare il campo. Partì lui stesso per attraversare il vallone che lo separava da una parte dei suoi per comunicare anche a loro l'ordine di ritirata.

Gli ultimi uomini ripiegarono quando i tedeschi erano a meno di 30 metri da loro, non prima di aver ucciso l'ufficiale nazista che camminava alla loro testa. I partigiani si attestarono al sicuro sparsi fra le guglie del gruppo di Rava fino al mattino dopo quando alla spicciolata si riunirono e si contarono: mancava Fumo.

"Al mattino scesero alla diga e trovarono tutto sottosopra: anche il forno per il pane era stato distrutto. Recuperarono solo qualche coperta e poco altro. Si divisero in varie squadre alla ricerca del comandante. Fu il gruppo di “Nina”, “Renata”, “Marco”, “Menefrego” e “Portafortuna” a trovarlo poco sotto la diga con una ferita mortale alla nuca. Gli avevano portato via l’orologio e le scarpe.

16 settembre 1944, Funerali del comandante Fumo. Fonte: Croaxarie

“Nina” mi dichiarò che sul corpo non c’erano segni di arma da
fuoco. La sua convinzione era che “Fumo” fosse stato sorpreso di spalle e colpito col calcio del fucile, ma è anche possibile che sia stato raggiunto da una raffica. Il comandante fu l’unico tra i partigiani a perire durante la battaglia.(4)"

Il Gherlenda restò unito nonostante la perdita di Fumo, elesse come nuovo comandante l'ex maresciallo di artiglieria "Marco" e riprese la sua attività malgrado la perdita di tutto il materiale e degli effetti personali.

Da leggere, a mio avviso, il bel libro di Giuseppe Sittoni, Uomini e fatti del Gherlenda, che racconta la storia di questi Uomini, pubblica copie di documenti originali, le relazioni a caldo dei protagonisti, le fotografie di quei ragazzi in fretta dimenticati, i ricordi di chi visse quelle giornate e ancora le può raccontare. E camminare per quei posti dopo averli letti ha un altro sapore.

(1) Luca Girotto - La lunga trincea 1915-1918 - Cronache della grande guerra dalla Valsugana alla val di Fiemme - Gino Rossato Editore - Citazioni tratte da "Le scarpe al Sole" di Paolo Monelli

(2) Paolo Monelli - Le scarpe al sole - Edizioni libreria militare

(3) Relazione datata 6 luglio 1945 fatta dall’arciprete di Castello Tesino don Silvio Cristofolini e giacente presso l’Archivio Storico di Trento, citata da Giuseppe Sittoni qui.

(4) Giuseppe Sittoni, "Uomini e fatti del Gherlenda" edito da Croaxarie.

mercoledì 9 settembre 2009

Cara, faccio un salto a fare la spesa

Rifornimenti per la Capanna Fassa, sul Piz Boè

Sarò noiosa, mi ripeto lo so, ma è impossibile non farsi la domanda, dopo aver visto lo zaino di questo signore: ma la capanna Fassa (o il rifugio Nuvolau, o il rifugio Caldenave, o il Bicchiere o...) dove le provviste arrivano in groppa al rifugista, l'acqua è razionata (il cesso della Capanna Fassa è eccezionale! una turca a caduta libera, senza sciacquone, ma con vista meravigliosa sulla Tofana di Rozes. Attenzione ad essere belli sobri quando scappa, altrimenti si finisce sulla strada verso Arabba per la direttissima :D), non ci sono accessi se non a piedi, è la stessa cosa del rifugio Solander, per esempio, con piscina e centro wellness con sauna finlandese? Stessi obblighi di legge, stesso trattamento fiscale, stessi contributi pubblici? Spero vivamente di no.

Comunque, il signore di cui sopra, a fine stagione si è portato in groppa su per il sentiero e si è issato su per gli spezzoni di cavo fino a 3150 metri diversi quintali di roba, compresi i miei canederli: altro che palestra e body building!

venerdì 4 settembre 2009

Mi rubano il lavoro!

Oggi sul quotidiano Alto Adige:

"I tre comuni dell’Alta Badia vogliono - con le regole precise in edilizia - salvare l’architettura tipica della valle dove le brutture, purtroppo, non mancano. Badia, Corvara e La Valle a tal proposito hanno nominato due esperti perchè predispongano la bozza di un regolamento che, il prossimo anno, verrà recepito dai tre Comuni. I tre Comuni di Badia, Corvara e La Valle hanno discusso di recente sull’elaborazione di eventuali direttive su come costruire o meglio non costruire per mantenere il carattere ladino delle costruzioni della valle. Per una maggiore sensibilizzazione nei confronti della tipica architettura ladina e dell’Alta Badia verranno organizzate delle manifestazioni da parte di Alto Adige Marketing assieme alla Camera degli architetti ed anche al Consorzio dei Comuni."

Volete dire che chiudo il blog "caccia al kitsch" prima ancora di  pubblicare un post?

Per fortuna resta la Val di Sole (Trentino) che mi offre tutto il materiale che mi serve.

Per esempio, Mezzana, paesino in mezzo ai monti, a 900 metri s.l.m., meno di 900 abitanti, che gravita economicamente tutto attorno alla stazione sciistica di Marilleva. E dove arriva lo sci se ne vanno l'identità e la storia.

Lo stesso posto a distranza di una sessantina di anni.

Che c'azzecca quella pensilina attorno alla fontana, rifinita in acciaio satinato e l'altrettanto satinata ringhiera che si vede qui sotto?

Non si ferma nessun bus lassù, in centro storico, dove non si può decidere il colore delle persiane ma dove si possono rifare i vecchi ponti di legno in questo modo:

Il palazzotto che si vede in secondo piano è casa Maturi, del XVI secolo, del quale il paese è giustamente orgoglioso. Attorno al quale però si distrugge sistematicamente la memoria.

Sono sicura che l'amministrazione comunale ha fatto quello che riteneva meglio, quel che pareva più bello e pratico, più moderno ed ergonomico. Ma nessun architetto di quelli interpellati ha detto loro che è meglio conservare e recuperare invece che cancellare.

Son mica brutti i ponti, con i faretti incassati nei montanti, li avessero messi a Bolzano per esempio; nemmeno la pensilina, se fosse una pensilina e non fosse nel micro centro storico di un antico minipaese. Le ringhiere satinate invece sono orribili tout court.

Speriamo che chi stila le regole per la val Badia non siano gli stessi consulenti di Mezzana!

Lo sostengo da un bel pezzo: strangolarli in culla, gli architetti!

(Per chi temeva una deriva buonista della sottoscritta dopo le ferie :D )

giovedì 3 settembre 2009

L'estate sta finendooo..

cantavano i fratelli Righeira anni fa. E' ora che riprenda in mano questo blogghino negletto e cominci a scrivere di tutti gli argomenti che mi hanno fatta incazzare fra un giro in montagna e l'altro.

Ho un book di foto fatte all'Alpe di Siusi, che non ho ancora pubblicato per vergogna e per pudore. Mi vengono in mente quelle pensioncine o quei "Zimmer zu vermieten" che non hanno colpa delle betoniere, gru, ruspe e camion che girano da troppe estati sull'Alpe fra i turisti sconfortati come i ragazzi di questo blog e che fanno scappare gli altri.

Ho così tanto da dire sulla questione della segnaletica dei sentieri monolingue e sulle Dolomiti dell'UNESCO, che non so da che parte cominciare :D

E poi ho un po' di storie da raccontare, un po' di posti da farvi vedere, un po' di libri da recensire, ma inizio con una storia non mia:

Caldenave

"Benvenuti a Caldenave!

avete fatto la vostra parte di sana fatica ed ora eccovi qui, seduti ad aspettare l'agognato "ristoro". Prendetevi il giusto tempo, rilassatevi e guardatevi un po' in giro. Il Creatore, chiunque fu, fece un bel lavoro. lavorò sodo e sicuramente di martedì o mercoledì, quando aveva ancora tanto entusiasmo e non era già così stanco da voler scappar via per santificarsi.

I nostri nonni, che non erano stupidi, videro questo paradiso e ben pensarono di venirci a lavorare: malga e casara, mucche, latte, formaggio, burro, ricotta... Erano i bei tempi e la vita se la guadagnavano lavorando e non "facendo i soldi" come si dice oggi, e per mangiare, allora, bisognava farsi venire la voglia di salire fin quassù.

Durò finché durò (il Viagra non era ancora stato inventato), le "mode" cambiarono e dopo anni di onorato servizio per Caldenave venne l'oblio (a dire il vero un incendio diede una mano).

La vita in valle era diventata più comoda, le fabbriche invitanti e sicure, era meglio stare laggiù e la sera farsi una bella doccia e poi davanti alla televisione, che sudare quassù e puzzare di merda di vacca fino a settembre. Così per anni qui rimasero solo

il vento, il sole, la neve, la pioggia (mi piacerebbe dire anche gli animali, ma questa è un’altra storia). Passarono gli anni, ricambiarono le mode e laggiù in valle, nella Casa Comune, qualche illuminato (l’avrà mes i dedi nel 220), pensò che era ora di risalire in montagna. Detto fatto: un paio di operai, qualche secchio di malta, due mattoni, Sant’Elicottero ed ecco il Rifugio Malga Caldenave “Claudio e Renzo”, nome lungo e altisonante per 80 metri quadrati disposti su due piani, con la stanza del gestore, 16 posti letto divisi in due stanze, due bagni, una piccola cucina e 24 posti a sedere nel ristorante, Tutto bello e sobrio ed inaugurato in pompa magna nell’ottobre del 2003, dedicato alla memoria di Claudio e Renzo, due giovani di Scurelle tragicamente scomparsi, ma distintisi in vita per l’impegno benefico della comunità.

Rifugio Malga Caldenave, Val Campelle, Lagorai (foto Edo)

A questo punto della storia ci voleva un gestore che, come ai bei tempi, avesse la voglia di salire fin quassù…(vedi sopra). Sono cambiate le mode ma le comodità piacciono ancora ed a Caldenave non ce ne sono proprio (uso il presente non a caso), tra l’altro non esistono strade che servono il rifugio e bisogna portare su tutto a spalla e qui fermo subito i sapientoni: i cavalli che si vedono in giro non portano nulla perché il basto dovrebbero portarlo tutto l’anno e non solo i tre mesi estivi, di teleferica neanche parlarne perché non c’è campata sufficiente, quindi non rimane che il Mezzo Migliore: la schiena del gestore.

Tutto questo era esattamente quello che noi stavamo cercando, ed ora eccoci qui: Enrica ed Elio, gestori dal 2004.

Bene, ho raggiunto lo scopo di farvi perdere un po’ di tempo. Enrica sta spadellando in cucina, nella minuscola cucina, dalla quale tutti, affamati come lupi, sperano di veder uscire il proprio piatto. Voi, che avete capito l’antifona, non vi spazientite se dovete aspettare qualche minuto, abbiamo scelto di darvi solo cose buone, cucinate come si deve, quindi menu semplice, niente porcherie in scatola ma solo ingredienti freschi (permetteteci solo la passata di pomodoro) e per fare le cose bene ci vuole il giusto tempo. Ah, dimenticavo, vi sarete domandati da dove viene questo CALDENAVE. Ho cercato a lungo relitti sotto i cirmoli e nelle valli più alte, ma giuro non ne ho trovati. Quindi niente NAVE. Anche di CALDE, poca roba, qualche fanciulla, ma non in numero sufficiente da rendere il posto memorabile. Un pastore di passaggio mi ha edotto: CALTE in dialetto vuol dire pascoli alti e la neve qui si ferma a lungo, quindi le CALTE della NEVE son diventate CALDENAVE. Ecco, ora i canederli stanno arrivando, e sono stati cucinati come si deve: 12 minuti di bollitura dolce più 45 secondi di riposo in pentola coperta. Mangiate in pace e godetevi il Creato. Se invece non sono ancora arrivati, leggete un’altra volta, magari con più attenzione e vedrete che arriveranno.

Buon appetito.*”

 orientamento

Segnaletica sulla terrazza del Rifugio. Ci sono anche un SU e GIU :D (foto JRRT)

(*) Scritto sulla tovaglietta di carta consegnata ad ogni coperto al rifugio Caldenave. Credo non occorra specificare che il gestore è quello che si dice un bel tipo e il rifugio molto carino e accogliente, letti comodi e non con le reti a cucchiaio. Gran bel posto.