martedì 29 gennaio 2008

Numeri: Soccorso Alpino

Sul News Group it.sport.montagna Il Barbi riporta qualche dato relativo agli interventi del Soccorso Alpino, estrapolato dal sito ufficiale del Cai. Copio/incollo quello che ha postato:

"Dall'anno di costituzione sono state compiute circa 73.000 missioni, portando soccorso a 100.000 persone, impiegando oltre 480.000 volontari; il bilancio è di 56.000 feriti, 31.000 illesi, 1.500 dispersi e il recupero di 10.500 salme". 222 per anno, calcola il Barbi. 

"Nel 2006 sono state compiute 5.568 missioni di soccorso con il recupero di 1.495 illesi, 2.063 feriti leggeri, 1.579 feriti gravi, 375 feriti con compromissione delle funzioni vitali e 405 deceduti.

In 41 interventi è stato richiesto l'utilizzo delle Unità cinofile da ricerca in Valanga e in 130 casi, quello delle Unità cinofile da ricerca in superficie. L'impiego dell'elicottero è stato determinante in più di 3.300 interventi, nella maggioranza dei casi si è trattato di mezzi del Sistema Sanitario Nazionale (118), presso le cui basi di elisoccorso è presente un tecnico del soccorso alpino."

Numeri da meditare a mio avviso.

(E' mezz'ora che ravano sul sito del CAI e questi dati mica li trovo... appena li trovo li linko.)

lunedì 28 gennaio 2008

Alexander Throckmorton

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la Marmolada dal Lagazuoi

In youth my wings were strong and tireless,
But I did not know the mountains.
In age I knew the mountains
But my weary wings could not follow my vision—
Genius is wisdom and youth.

Edgar Lee Masters, Spoon River Anthology

domenica 27 gennaio 2008

27 gennaio 1945

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Auschwitz - vista aerea - foto RAF - Fonte Wikimedia, licenza copyleft

"Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto."

Primo Levi - I sommersi e i salvati

sabato 26 gennaio 2008

Le montagne dell'Unesco

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Pale di San Martino, catena settentrionale

I gruppi montuosi inseriti nella domanda all'Unesco:

Sistema Gruppo montuoso
Pelmo - Nuvolau Pelmo
Nuvolau
Marmolada Marmolada
Pale di San Martino - San Lugano - Dolomiti Bellunesi Civetta-Moiazza
Pale di S.Martino
Pale di S.Lugano
Dolomiti Bellunesi
Vette Feltrine
Dolomiti Friulane / Dolomits Furlanis e d'Oltre Piave Dolomiti Friulane / Dolomits Furlanis
Dolomiti d'Oltre Piave
Dolomiti Settentrionali / Nördliche Dolomiten Cadini
Dolomiti di Sesto
Dolomiti d'Ampezzo
Dolomiti di Senes
Dolomiti di Braies
Dolomiti Cadorine
Settsass
Puez-Odle Puez
Odle
Catinaccio-Sciliar Sciliar
Catinaccio
Latemar
Bletterbach Bletterbach
Dolomiti di Brenta Dolomiti di Brenta

E le chiamarono nove cuori

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Dolomiti di Sesto

9 "sistemi montuosi", 236.000 ettari, 100.000 dei quali nelle cosiddette "aree tampone" e 136.000 nei "cuori", 169 i residenti totali, 220 cime, 42 delle quali sopra i 3.000 metri e la totalità del territorio situato in alta quota. Belluno e Bolzano ne detengono il 72%, seguono Trento, Pordenone e Udine. Queste sono le Dolomiti candidate a diventare patrimonio dell'umanità per il loro straordinario valore estetico , naturalistico e paesaggistico, per la loro grande importanza nello studio della storia geologica della terra e come salvaguardia della geodiversità terrestre.

Dopo la firma da parte dei Presidenti delle Province interessate che hanno finalmente trovato l'accordo, il dossier, molto interessante da leggere, è stato consegnato a Roma. Il Ministero dell'Ambiente, dopo averlo sottoscritto (se non ha altro da fare visto il momento politico), il 1° febbraio lo presenterà all'Unesco.

Per essere inseriti nella lista dell'Unesco come patrimonio universale dell'umanità, i siti proposti devono già godere di qualche forma di tutela locale: non saranno quindi necessari ulteriori vincoli, i 9 parchi naturali presenti nel territorio delle Dolomiti ne garantiscono una protezione sufficiente.

Le 367 pagine del dossier descrivono il paesaggio (superlative natural phenomena, exceptional natural beauty and aesthetic importance) di ogni sistema montuoso, la flora, la fauna, la geologia (major stages of earth’s history), gli habitat importantissimi per la conservazione della diversità biologica e l'estrema importanza delle Dolomiti anche a livello scientifico e di studio del geomorfismo terrestre.

Nella prefazione si legge che "The Dolomites, as mountains, are particularly special". Parla dei colori, dell'"impressionante verticalità delle ripide pareti di roccia" e delle forti emozioni che sanno suscitare, le descrive come estremamente variegate e ricche di ecosistemi diversi, descrive boschi e ghiacciai, parla delle le valli che le circondano, abitate da popolazioni di 3 lingue e culture differenti.

Il dossier definisce eccellente lo stato di conservazione dell'area dolomitica proposta. Il turismo dolomitico è infatti abbastanza recente e per molti anni d'elite, e, sebbene anche qui il turismo di massa abbia portato inquinamento, automobili, strade e funivie, solo il 5% dei turisti arriva oltre i 1600 metri, le cabinovie presenti sono solo 2 (Marmolada e Tofane) e la maggior parte della gente rimane nelle aree non comprese nella domanda all'Unesco.

Cosa richiede l'Unesco? Che le Province proponenti si impegnino al rispetto dei principi della Convenzione dell'Unesco, ne promuovano le idee, sviluppino educazione ambientale e conoscenza delle Dolomiti, promuovano forme di sviluppo sostenibile, le valorizzino senza smettere di tutelarle seriamente, promuovano la cooperazione fra i vari istituti di ricerca che operano in zona. Verrà creato un comitato che si occuperà di coordinare le azioni degli enti interessati salvaguardando le diverse specificità di ogni sistema montuoso e c'è in programma per il futuro la creazione di una Fondazione.

A prescindere dal fatto che a mio avviso le Dolomiti non hanno questo gran bisogno di essere ulteriormente valorizzate e pubblicizzate né di essere "lanciate all'attenzione mondiale", che le aree inserite nella richiesta sono tutte ad alta quota e difficilmente antropizzabili, che l'inserimento nel patrimonio dell'umanità non impedirà la costruzione delle nuove piste, nuove telecabine, nuovi collegamenti e nuovi alberghi, che non sento la necessità di ulteriori comitati e fondazioni, che in sostanza mi sembri solamente un'operazione di facciata che nulla cambierà e nulla migliorerà, in fondo in fondo ne sono contenta ma se qualcuno mi chiedesse perché non ne ho la benché minima idea :-D

(in un post successivo l'elenco delle montagne inserite nel dossier)

fonti: giornale Alto Adige, dossier delle Province

giovedì 24 gennaio 2008

Eravamo più contenti

Val di Non

Ancora uno stralcio dal libro di cui parlavo qui:

"Parlano di progresso: io fino a un certo punto lo vedo anche, però passato quel punto vedo regresso. E' una cosa che non sono capace di comprendere... Non ho mai saputo quel che vuol dire fame. Sono nato in una famiglia di contadini: carne, latte, burro, formaggio ne abbiamo sempre avuto; patate anche in tempo di guerra se ne faceva in più e si cercava di vendere. Vivevamo noi, fino a vent'anni che sono stato in casa dei genitori, non voglio esagerare, ma vivevamo al 95% in maniera autonoma, si viveva del nostro.

I vestiti, lì poi non se ne parla: calzetti, maglie, canottiere, tutto si faceva in casa, dalla pecora. Coltivavano anche il lino le nostre mamme, un bel campo grande di lino. Da lì si facevano la biancheria, le lenzuola, tutto in casa. Avevamo un telaio vecchio lì vicino a casa: facevamo i pantaloni di mezzalana, mista col lino, pantaloni che duravano una vita, che mettevamo da ottobre ad aprile: non si vedevano più consumati. Facevano anche dei bei vestiti per la festa, con diverse tinte, e tinte sempre naturali che si facevano con radici e con fiori. [...]

Le nostre mamme ricordo che compravano qualche chilo di zucchero, qualche etto di caffè buono, che lo adoperavano proprio per il mal di pancia, qualche litro di olio e basta, non si comprava altro, il resto si faceva tutto in casa. Sono arrivato a vent'anni che non si sapeva neanche com'erano i soldi, le lire. Dopo sì, dopo c'era la ricostruzione della guerra, dopo è cambiato un po', si cominciava a lavorare anche fuori casa: un po' il contadino, un po' a tagliare nei boschi, si è cominciato a metter su qualche cosa, ma fino a vent'anni io non sapevo neanche com'erano fatti i soldi; non che non abbia lavorato, perché si è cominciato ancora con undici anni a lavorare in campagna, ma lire... si lavorava per il vitto: niente da fare, non ce n'era. Eravamo più contenti che i nostri figli oggi, che hanno tutto: questa è una cosa che a me pesa tanto."

Marino Iachelini, nato a Rabbi, 1927. Pastore, malgaro, contadino in un'intervista concessa a Marco Romano il 14 novembre 1995

fonte: Marco Romano, "Quella era la vita allora - I racconti degli anziani di Fondo, Tret e Vasio - Storia, tradizioni e cultura in una comunità alpina" edito dal comune di Fondo (val di Non, Trentino) nel 1996 e ristampato da Nitida Immagine a Cavareno nel 1997.

Che diavolo se ne faranno mai!

Leggo sul blog di bersntol (e ne approfitto bassamente visto che questi giorni ho appena il tempo di respirare, altro che di scrivere post documentati!) questa notizia ripresa dal quotidiano L'Adige: qualche incivile si è preso la briga, l'anno scorso, di fregare diversi cartelli segnaletici dei sentieri in zona Lagorai. Pali compresi.

A parte lo sconcerto nei confronti dell'atto vandalico in sé, che diavolaccio passa per il cranio di certa gente? Se li sono messi nello zaino e portati a casa? Che se ne faranno dei cartelli? Li piantano in corridoio e ci scrivono la direzione della camera da letto, per quando tornano a casa sbronzi? Anche staccarli, tirar giù i pali, una lavorata.

Sedersi a prendere il sole e a mangiare un panino non era meno faticoso?

Mah.

martedì 22 gennaio 2008

Numeri alpini

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Viso Mozzo e Monviso

Territorio alpino: Kmq 190.600

di cui:

Aree umide e corsi d'acqua: 1,3%
insediamenti e vie di comunicazione: 2,1%
superfici agricole: 18,9%
vegetazione arbustiva e erbacea (alpeggi compresi): 18,8%
boschi: 42,9%
aree non boschive prive o quasi di vegetazione: 16%

Abitanti: 3.600.000
Comuni: 6.187

Fonte: CIPRA

domenica 20 gennaio 2008

Eretici altoatesini DOP

Jakob Hutter - Fonte Wikimedia Commons, immagine di pubblico dominio

Uno degli eretici più famosi, Jakob Hutter, predicatore itinerante dal quale prese il nome l'eresia anabattista degli hutteriti, è marchiato Südtirol. Di lui non si sa moltissimo: nato a Moos (Moso) in val Pusteria fra la fine del 1400 e l'inizio del 1500, studiò a Brunico, a Praga imparò il mestiere del cappellaio (der Hut=il cappello. Che il nome venga dalla professione?) si convertì all'anabattismo a Klagenfurt e, prima data certa, nel 1529 è segnalato in valle come predicatore girovago.

Nel 1531 lo troviamo ad Austerlitz, come teologo e predicatore, al seguito delle comunità anabattiste tirolesi fuggite dalla repressione cattolica scatenatasi in Tirolo dopo la rivolta contadina capeggiata da Michael Gaismair, comunità che in Moravia avevano trovato appoggio e protezione presso i nobili locali. Tanto fu importante in quel periodo la figura di Hutter, che molte delle nuove comunità assunsero il nome di Hutteriti.

Le follie di Matthys, Bokelson e Knipperdolling nella città di Münster non contribuirono molto a rendere simpatici gli anabattisti all'imperatore Ferdinando d'Asburgo, che li perseguitò con molta decisione e nel 1535 ne impose l'espulsione dalla Moravia.

Rientrato in Tirolo Hutter venne scovato a Klausen (Chiusa, pochi km a nord di Bolzano), arrestato insieme alla moglie e ad alcuni confratelli, incarcerato ad Innsbruck, torturato e infine bruciato sul rogo il 25 gennaio 1536.

Gli Hutteriti, come molte altre comunità eretiche, dovettero spostarsi da un paese all'altro a seconda di come girava il vento delle persecuzioni, molte si dispersero, molte accettarono di tornare formalmente in grembo di madre chiesa. Altri gruppi, dopo aver trovato una momentanea tranquillità in Russia, nel 1874, per evitare la leva obbligatoria da poco introdotta dallo Zar, emigrarono in Nordamerica dove fondarono comunità agricole per gran parte autosufficienti, nel Sud Dakota, Minnesota, Montana e Washington. Obiettori di coscienza ebbero problemi anche negli Stati Uniti e molti di loro si trasferirono in Canada nelle regioni di Alberta, Saskatchewan, British Columbia.

Sebbene simili nella semplicità dello stile di vita, non sono da confondere con gli Amish: gli Hutteriti infatti praticano la comunione dei beni e non rifiutano totalmente la modernità, infatti accettano l'uso di macchine agricole, ma rifiutano la televisione e il consumismo.

Ora gli Hutteriti nordamericani sono più di 35.000, suddivisi in comuni agricole chiamate "Arche nel mare del peccato" che vanno dai 60 ai 130 membri, molte delle quali mantengono invariate le tradizioni, la lingua e il modo di vestire in uso in Tirolo nel 1500.

sabato 19 gennaio 2008

Il gatto di Ermanno

Ravanando su youtube cercando tutt'altro, ho trovato questo video imperdibile (il meglio arriva dopo circa un minuto e mezzo):

 

Peraltro: chi è il suo padrone? Il video è stato postato da tal esalvaterra. Salvaterra? E. Salvaterra? Sarà mica l'Ermanno? Ma certo! Chi altri se pol portar el gat su per le Bocchette*?

Ermanno Salvaterra è un noto alpinista rendenero (Val Rendena, Trentino); la sua famiglia gestisce il rifugio XII Apostoli in Brenta dal 1948, lui è maestro di sci e guida alpina.

Innamorato della Patagonia, al punto da fare ben 22 spedizioni in quelle terre, nel 1982 con alcuni amici arriva a raggiungere il compressore lasciato da Cesare Maestri a 50 metri dalla vetta del Cerro Torre lungo la Via Maestri e l'anno successivo arriva in cima. Lo stesso anno salgono il Fitz Roy, l'Aguillaumet ed il Poicenot. Nel 1985, dopo 11 giorni di parete, salgono il Cerro Torre in invernale. Il Cerro è il suo mito e sul Cerro riesce ad aprire alcune vie nuove, fra le quali la prima salita della parete Est.

Arrampica e gira il mondo con la telecamera in spalla e realizza filmati e documentari con i quali partecipa a diversi concorsi e che proietta durante le sue conferenze. Insomma, padrone all'altezza di tale gatto :D

Ermanno ha anche un sito, fatto in casa e si vede, qualche link interrotto, grafica non professionale, ma molto simpatico da sfogliare: pieno di foto, aneddoti e storie varie, dal quale si capisce che sicuramente il gatto, né nessuno dei suoi animali, è costretto a fare qualcosa che non gli aggrada.

Dopo il filmato del gatto, qui e qui il padrone.

(*)Bocchette: famosa via ferrata delle Dolomiti di Brenta, non difficilissima ma sconsigliata a persone impressionabili, poco allenate o che soffrono di vertigini.

venerdì 18 gennaio 2008

Pillole di SAT

Il bollettino SAT di questo trimestre (che, come mi ricorda Mysti, è consultabile comodamente in rete, al contrario della rivista del CAI che promettono da tempo ma ancora non si vede) è dedicato per la maggior parte al 113° congresso di Moena, centrato su "Montagna e cambiamenti climatici".

La posizione della SAT è molto chiara: come dice il presidente Franco Giacomoni nell'editoriale di apertura del bollettino: "la SAT si dichiara, qui ed oggi, pronta e vincolata a quanto proposto dalle tesi. Sarebbe oltremodo ridicolo esigere l'adesione alle nostre proposte all'esterno dei nostri confini e dimenticarle al nostro interno."

Copio/incollo qualche stralcio dal bollettino, dal box verde che ne accompagna la lettura da pagina 5 fino a pagina 25, intitolato "Il congresso in pillole". Pochi paragrafi per cercare di mettere a fuoco i temi più importanti e l'orientamento della SAT nei confronti dei problemi che questi temi sollevano.

"Riduci, ricicla, cammina e spegni. Le quattro "parole d'ordine" dell'Europa sono state spiegate ad adulti e bambini dal meteorologo televisivo Luca Lombroso in vari appuntamenti della settimana. "Dinanzi a un riscaldamento inequivocabile - ha detto - dobbiamo diminuire il consumo di energia, spegnere le luci, ridurre il riscaldamento, andare piano in macchina, evitare mezzi di trasporto inquinanti, acquistare prodotti a noi vicini, riciclare e investire in fonti di energia rinnovabili".
Anche l'innevamento artificiale non è compatibile con le mutate condizioni climatiche.
"Per innevare un ettaro di pista sono necessari 25.400 kwh con l'emissione di 17 tonnellate di anidride carbonica. Per non parlare poi del la quantità d'acqua necessaria. Si andrebbe in conflitto con le richieste domestiche delle città di pianura".

Se i dati dei clmatologi destano preoccupazione non lo è da meno una classe politica che preferisce aspettare e guardare mentre le condizioni peggiorano. Nell'incontro di Soraga, dedicato alle condizioni locali l'attenzione è andata ai cambiamenti climatici in valle (a Moena la temperatura media negli ultimi venti anni è salita di un grado) e le ripercussioni sull'ambiente. Netto il quadro descritto da
Alberto Trend (direttore di Meteo Trentino) e Roberto Seppi (segreteria scientifica per il monitoraggio dei ghiaccia del Trentino). Forti, come sempre, le sollecitazioni di Gigi Casanova. Il segnale che qualcosa sta veramente cambiando viene dalla Regina, la Marmolada, che sta perdendo il suo mantello bianco.

Negli ultimi dieci anni il 16% della massa di ghiaccio si è sciolta ed è possibile che i nostri nipoti vedranno la grande montagna completamente nuda. Nonostante questa emergenza continua l'assalto alla Regina mentre un piano
della Marmolada e chiuso nel cassetto insieme a tanti buoni propositi. [....]

Le modifiche dei comportamenti dell'uomo spesso non sono guidati da motivazioni ideali ma da concrete esigenze di vita e di natura economica. Per questo una serata è stata dedicata proprio alla discussione tra economisti, imprenditori e manager del turismo. Umberto Martini, docente universitario, Bruno Felicetti e Andrea Weiss direttori delle APT di Fiemme e Fassa, Ingemar Soraperra, esperto di innevamento artificiale, Fiorenzo Perathoner, presidente consorzio Superski Dolomiti e Helmut Moroder, vicepresidente della CIPRA si sono confrontati su un tema molto complesso. Sotto la guida di Mariangela Franch (Università di Trento) sono state avanzate varie proposte di cambiamento. Da una parte gli imprenditori consci che gli impianti sul fondovalle non hanno futuro e sarà sempre più difficile e costoso innevare in quota. Un modello che per ora non ha alternative, dicono.

Bisogna prepararsi al cambiamento ma come? E come gestire questa fase di transizione tra vecchie certezze e nuove ipotesi? Il turismo deve riscoprire la lentezza cioè comodi spostamenti, scoperta del territorio, consumo di prodotti locali. Tutto ciò, oltre a ridurre gli impatti economici, ambientali e sociali del turismo, migliorerà di molto la qualità di vita delle popolazioni di montagna e la
qualità delle nostre vacanze."

Forse è solo una mia impressione, ma da qualche anno la SAT è, rispetto al CAI, più coraggiosa nelle posizioni, più chiara, più indipendente, e meno burocratica.

giovedì 17 gennaio 2008

Tutto il mondo è paese

Venezia

"I muri anche resteranno, ma la città sarà morta. Purtroppo salti del genere la cultura amministrativa non li riesce a fare. Qui non hanno ancora capito che il turismo è una risorsa, ma come tutte le risorse non può essere sfruttata oltre il compatibile"

fonte: "Il Gazzettino" del 16 gennaio 2008, citato da Lucio Angelini sul suo blog: post da leggere per intero.

martedì 15 gennaio 2008

Valanghe

(foto Wikimedia Commons, licenza public domain)

Estratto da "Nivologia e valanghe" di Luigi Telmon
breve trattato di nivologia ad uso dei partecipanti del news group it.sport.montagna, del quale consiglierei la lettura integrale.

"Valanghe di neve a debole coesione

La mancanza di coesione, caratteristica della neve fresca all'inizio del metamorfismo di isotermia o della neve molto bagnata, determina un tipo di distacco pressoche' puntiforme. Basta il movimento di pochi cristalli mossi dal vento o di un piccolo grumo di neve caduta da un albero, da un sasso, da una cornice, per determinare, per urti successivi, il moto spontaneo della valanga che, su un terreno uniforme, tende ad assumere la forma di una pera.

Anche forti vibrazioni sonore quali esplosioni, bang supersonico, battimenti del rotore di un elicottero relativamente vicini, possono provocare un distacco, se la neve si trova gia' in equilibrio instabile.

Se la causa del distacco e' uno sciatore, a differenza della valanga di lastroni in cui la frattura avviene normalmente a monte dello sciatore stesso, il moto della valanga di neve a debole coesione inizia, normalmente, a valle degli attacchi degli sci. Lo sciatore che provoca questo tipo di valanga, generalmente, nel momento in cui la provoca non viene coinvolto (ad esempio se e' in salita o in discesa diagonale); puo' esserlo, invece, se sta scendendo con una serpentina, in quanto la sua velocita' e la sequenza stretta di curve puo' portarlo a valle del punto di distacco prima che la neve abbia vinto l'inerzia dell'inizio del movimento, per cui lo sciatore puo' non fare in tempo ad accorgersi di aver messo in moto la valanga. Va da se' che chi si trovasse gia' a valle e sulla potenziale traiettoria della valanga puo' essere travolto.

Se la neve e' molto bagnata, la sua velocita' non supera, in genere, i 30 - 50 Km/h. e il moto resta radente. Se, invece, la neve e' asciutta, tanto piu' se e' molto fredda, le particelle in movimento, superata la velocita' critica, valutata in 70-80 Km/h, o incontrando ostacoli ed asperita' del terreno, cominciano a sollevarsi nell'aria ed il moto, da radente, diventa nubiforme. In questo caso la velocita' puo' raggiungere e, talvolta, superare, i 300 Km/h, esercitando pressioni, sugli ostacoli ortogonali al moto, dell'ordine di 50 t/mc, mentre l'aria che viene spostata sulla fronte e sui lati (soffio) puo' arrecare danni anche al di fuori della traiettoria della valanga.

Queste sono le valanghe piu' devastanti e pericolose per gli abitati ed i manufatti e si verificano, in genere, durante o poco dopo una abbondante nevicata, di giorno come di notte, specialmente con temperature basse. Il distacco, in genere, e' piu' precoce sui pendii soleggiati, (metamorfismo di isotermia piu' rapido e quindi perdita della coesione feltrosa in anticipo) per cui, sui pendii esposti ai quadranti settentrionali, piu' freddi, il pericolo dura piu' a lungo."

fonte: Gen.Luigi Telmon

- Istruttore Militare scelto di sci;
- Istruttore Militare scelto di alpinismo;
- Alpinista Accademico Militare;
- Esperto Militare di neve e valanghe;
- Paracadutista militare;
- Pilota civile di aeroplano da turismo;
- Esperto valanghe del Servizio Valanghe Italiano -C.A.I.;
- Maestro di sci della Federazione Italiana Sport Invernali (FISI) iscritto al Collegio di Trento
- Istruttore nazionale della Federazione Italiana Sicurezza Piste da Sci (F.I.S.P.S.);
-
Istruttore nazionale di nivologia e valanghe del Servizio Valanghe Italiano del C.A.I. (S.V.I.C.A.I.)
- Dott. in Scienze Strategiche.
E' insignito dell'onoreficienza di Cavaliere al merito della Repubblica.

Rifugio alpino?

Flaggerschartenhütte/Rifugio Vallaga. Monti Sarentini

'Azzo è un "Rifugio Alpino"? Non è una domanda retorica: avere la qualifica di rifugio alpino comporta oneri ben precisi e si può beneficiare di contributi o facilitazioni alle quali gli alberghi non possono accedere.

Da quel che ho visto in rete, ogni regione definisce il rifugio a modo suo e passiamo da definizioni restrittive tipo: "strutture minimali idonee a soddisfare le elementari esigenze di alloggio e, eventualmente, di vitto degli escursionisti, situate, a tal fine, in zone favorevoli ad ascensioni ed escursioni, ad altitudine non inferiore a m. 1.000, fuori da centri urbani non servite da strade aperte al traffico ordinario" a definizioni molto più vaghe: "strutture ricettive, idonee ad offrire ospitalità e ristoro, che siano ubicate in luoghi tali da costituire utili basi di appoggio per l'attività alpinistica e in zone isolate di montagna non accessibili in nessun periodo dell'anno con strade aperte al traffico ordinario o con linee funiviarie in servizio pubblico ad eccezione degli impianti scioviari. (Trento, LP 15 marzo 1993, n. 8).

Comunque la si giri mi è difficilissimo considerare "rifugio alpino", come ho sentito ripetere con insistenza in una trasmissione televisiva, una struttura che così parla di sé: "Rinnovata completamente nell'estate 2007 con camere da due a quattro posti letto, alcune con soppalco e balcone, pavimento in legno, doccia con asciugacapelli, cassaforte, TV-SAT.
Ristorante self-service, bar e paninoteca, ampio terrazzo solarium. Piccolo e grazioso centro benessere con vasca idromassaggio, sauna finlandese, sauna infrarossi, bagno turco, zona relax." (Rifugio Solander, Marilleva, Val di Sole, TN)

Non entro nel merito se sia bello o brutto o impattante o quant'altro, (più brutto di com'era prima mi pare impossibile e comunque a Marilleva ormai non c'è più molto da salvare) ma "rifugio"? E non è ovviamente l'unico.

Le parole sono importanti, diceva un tale. E come sono importanti: oltre a entrare nell'immaginario collettivo di migliaia di alpinisti, valgono Euro, un bel sacco di Euro.

lunedì 14 gennaio 2008

Cinquemila anni

Fronte del ghiacciaio della Fradusta, Pale di San Martino

“Quel che non era riuscito in cinquemila anni alle valanghe, alle frane, agli inverni, alle alluvioni, alle epidemie, agli eserciti, ai tiranni ed agli invasori, riesce all’ultimo minuto dell’orologio alpino ad un modello così forte e persuasivo da stravolgere il territorio e soffocare le voci dissenzienti”

Enrico Camanni, La nuova vita delle Alpi, Torino: Bollati Boringhieri.

domenica 13 gennaio 2008

Daidola a Pedrotti (terza puntata)

Marilleva - seggiovia Orso Bruno - fonte: webcam di Dolomiti.com

Poteva il professor Daidola non rispondere alla sua maniera alle argomentazioni di Alberto Pedrotti, presidente della sezione impianti a fune dell'Associazione industriali? Impossibile. Ecco quindi sul quotidiano l'Adige del 7 marzo 2005 l'interessante intervento del professore che chiude la schermaglia con toni tra il serio e il faceto :

Lo sci non si cura con i "passaggi"
di GIORGIO DAIDOLA

Leggo sull’Adige del 2 marzo: "Pedrotti a Daidola: lo sci non è in crisi". Il motivo sarebbe che "il numero di passaggi è costante". Risposta: il numero di passaggi è costante solo in particolari comprensori come il Dolomiti Superski, dove con agguerrite e costose operazioni di marketing si è riusciti a sostituire i clienti italiani e tedeschi con quelli dei Paesi dell’Est. Quando si parla di crisi dello sci si parla di una tendenza generale e non locale. Di una tendenza di lungo termine e non di tentativi di tappar buchi nel breve termine. Inoltre, la crisi dello sci deve essere valutata con parametri diversi dal "numero di passaggi" e cioè in termini di variazioni valore aggiunto (ricchezza prodotta) e di redditività (effettiva, al netto dei contributi) dalle aziende di trasporto a fune.

Leggo poi che "la diminuzione si avverte di più nelle stazioni minori": vero, purtroppo in tutto il mondo è in corso una concentrazione degli impianti in megastazioni. Ma ciò è oltremodo negativo per il futuro dello sci. Ciò avviene perché le piccole stazioni scimmiottano le grandi, cercando di svilupparsi seguendo i demenziali modelli di queste ultime. Le piccole stazioni invece, proprio perché solo piccole, sono quelle che avrebbero tutte le possibilità di trasformarsi in laboratori del turismo invernale (e non solo invernale) del futuro. Occorrerebbe solo inculcare in esse una buona iniezione di creatività, di conoscenza della storia e della cultura dello sci, di consapevolezza dei valori che ancora custodiscono. Paradossalmente le piccole stazioni sono in vantaggio rispetto ai grandi comprensori nel lungo termine, essendo questi ultimi destinati a costosissime riconversioni o ad un veloce degrado. E le piccole e medie stazioni così gestite non soffriranno, come dice il dott. Pedrotti, se i contributi pubblici verranno ridotti, come vuole giustamente l´Unione Europea. In particolare non ci sarà bisogno di affermare che "gli enti pubblici dovranno diventare azionisti". A parte che si tratterebbe della solita vergognosa tendenza italiana ad aggirare le leggi, significherebbe andar contro ai processi di "privatizzazione" ovunque in atto nell´economia.

La strategia riportata dal dott. Pedrotti per far fronte alla crisi (non ammessa) delle grandi stazioni è quella ben nota di diminuire il numero degli impianti ed aumentarne la portata. Mi si consenta di dire che si tratta di una strategia miope, tratta senza i necessari adattamenti dai manuali sulla gestione della produzione nella grande industria. Essa è infatti responsabile dell'affollamento insostenibile delle piste, causa prima dell´aumento degli incidenti e dell´obbligo di sciare con il casco. Ciò anche in conseguenza della portata degli impianti moderni, che annulla le code e i momenti di riposo in seggiovia durante la risalita. E l'affollamento delle piste rende necessario l´innevamento artificiale, l´unica che "tiene" al passaggio di migliaia di sciatori e così il cerchio si chiude sulle "responsabilità" prime dell´invenzione della neve finta.

Riguardo alle sciovie, ossia agli impianti più leggeri e flessibili, Pedrotti dice che non sono state eliminati ma sono passati (in Trentino) da 186 a 80 dal 1985 ad oggi. Ammette che in Francia ed in Austria non si è seguita la stessa strategia. Dice che è la clientela delle nostre stazioni a non volere più gli skilift. Ammesso che sia vero (la clientela dello sci è sempre più internazionale, quanti trentini vanno a sciare in Austria ed in Francia, semplicemente perché ci si diverte di più, non sto qui a spiegare il perché) non si capisce di questa "peculiarità" del cliente tipo delle nostre stazioni. La verità è che si raccoglie quello che si semina, attraverso un utilizzo sbagliato ed immorale del marketing, che da funzione essenziale di analisi della domanda è stato trasformato in un modo per influenzare (profondamente) la domanda stessa. Gli sciatori di massa sono così diventati come dei bambini viziati, e la colpa è appunto delle aggressive strategie di marketing adottate. Strategie che hanno portato a sciatori in grado di sciare solo su piste lisce come biliardi e con sci che girano da soli, annullando il piacere di impostare una curva. Sciatori il cui desiderio di sciare viene sollecitato in autunno quando la neve (vera) da sempre è un eccezione, con la conseguenza che quando è primavera ed inizia la stagione più bella dello sci più nessuno ha voglia, capacità (e già, la neve è quella vera!) e quattrini (spesi tutti nelle poche costose domeniche invernali dedicate allo sci) di/per sciare.

La chicca finale a questo devastante modo di agire degli "uomini di marketing" del turismo invernale sono le accurate indagini di "customer satisfaction" che dovrebbero "provare" la soddisfazione dello sciatore: si tratta niente altro che di modi per valutare l´efficacia delle politiche di marketing immorali di cui dicevo sopra. Evidentemente il dott. Pedrotti pensa che sia giusto fare così e c´è poco da fare, nel breve termine, per far cambiare simili modi di pensare, purtroppo dominanti. Politici ed impiantisti si fanno forti del sostegno della popolazione delle grandi stazioni di sci, arricchita troppo velocemente grazie allo "oro bianco" (che non è più il latte di montagna ed i suoi derivati ma appunto l´industria dello sci). Verissimo che grazie agli impianti in deficit si sostiene questa ricca economia basata sul turismo della zona. Ma a quale prezzo? Con quali conseguenze devastanti sull´ambiente e sulla identità della cultura dei locali che hanno sempre di più gusti e sensibilità (acquisiti troppo velocemente, con i risultati che si vedono) da abitanti della pianura? Con quale strategia a lungo termine, con quella dello sviluppo economico senza se e senza ma? Se si dimostrasse che la costruzione di una industria chimica altamente inquinante in Val di Fassa darebbe più occupazione e più valore aggiunto del turismo forse si opterebbe per la sua costruzione?

La verità è che ci sono altri modi per arrivare ad un benessere più equilibrato delle popolazioni locali che evidentemente il dott. Pedrotti e tutti quelli che la pensano come lui non conoscono o sottovalutano. Prova ne è che afferma: "la settimana bianca in malga piacerà al professor Daidola ma la gente apprezza i caroselli". Vada a vedere di persona il dott. Pedrotti qual è l´affluenza nelle malghe e nei rifugi con servizio di albergo (non servite da impianti e strade) dell´Alto Adige, dell´Austria, del Queyras francese, della British Columbia canadese e forse cambierà idea. Ho detto "di persona" perché così avrà modo di vedere ospiti che esprimono genuina felicità e non solo sciatori ingrugniti che non ti rivolgono neppure la parola quando sei su di una seggiovia pluriposto. Mi permetto di suggerirgli per queste bellissime giornate di marzo un weekend o una settimana bianca al rifugio-albergo Lavarella o al rifugio albergo Fanes nel Parco naturale di Fanes-Senes-Braies in Alto Adige. Forse così avremo modo di conoscerci, di discutere e di picchiarci (in un duello sulla neve vera) di santa ragione. Con un consiglio però: prenoti subito perché in queste oasi di vero turismo della neve (per tutti, non solo per gli scialpinisti) non ci vado solo io come pensa lui: esse sono sempre complete da Natale a Pasqua.

venerdì 11 gennaio 2008

Bisogna aver tempo!

"Adesso i contadini portano via i vitelli alla mucca che hanno dieci-dodici giorni e poi li mettono nelle stalle: quando hanno quindici-sedici mesi han già uno sviluppo di tre quintali di carne che prima ci voleva più del doppio del tempo, ma vanno soltanto di mangimi, per quello la carne non ha più quel profumo, perché viene precoce; è come mangiare un pollo da cortile cinquant'anni fa, o anche dieci anni fa, o anche di chi ha ancora un cortile: ha un altro profumo, ma ci vuole un anno a fare un pollo da cortile, invece adesso lo fanno in cinquanta-sessanta giorni, e allora è tutto là... Li portano precoci e la carne non ha più quella sostanza, quel gusto e quel profumo che prima si percepiva: bisogna aver tempo per fare una cosa!"

Mario Covi, classe 1910 in un'intervista concessa a Marco Romano il 6 dicembre 1995

Ho scovato un libro moto particolare, difficilissimo da trovare: "Quella era la vita allora - I racconti degli anziani di Fondo, Tret e Vasio - Storia, tradizioni e cultura in una comunità alpina" edito dal comune di Fondo (val di Non, Trentino) nel 1996 e ristampato da Nitida Immagine a Cavareno nel 1997.

Si tratta di una cinquantina di interviste ad anziani nonesi raccolte e trascritte da Marco Romano fra il 1995 e il 1996, nelle quali contadini, operai, artigiani, casalinghe raccontano com'era la vita allora, "ai tempi", confrontandola con quella attuale. La grande storia accanto alle esperienze quotidiane di lavoro, emigrazione, povertà, abitudini e usanze, rimedi popolari, animali, giochi, dalla viva voce di chi queste esperienze le ha vissute. Storie che Marco Romano ha fissato sulla carta prima che se ne perda ogni ricordo.

Leopoldo Abram, classe 1922, sottufficiale di polizia, di Vasio:

"A me sembrava una bella vita, e ci si trovava in piazza finché non è cominciato a subentrare al posto del carro il trattore, al posto della falce la falciatrice. Dopo non c'è stato più niente da fare, perché tutti correvano"

Era meglio? era peggio? Senza dubbio era diverso.

Peccato che il libro sia ormai introvabile. Ogni tanto ne posterò qualche stralcio qui e là, fanno nostalgia e tenerezza oltre ad essere molto interessanti.

Un signore

Sir Edmund Hillary, Tuakau, 20 luglio 1919 – Auckland, 11 gennaio 2008

(foto Mariusz Kubik, fonte Wikimedia, licenza Creative Commons Attribution 2.5)

mercoledì 9 gennaio 2008

Il gigante Haunold e la collegiata di San Candido

Collegiata di S.Candido/Innichen - abside - (fonte: wikimedia licenza GNU)

Gli scalpellini di Sesto/Sexten erano famosi in tutta la val Pusteria per la loro maestrìa e abilità e quando, verso la metà del 1100, i frati Benedettini che vivevano nel convento di S.Candido/Innichen decisero di innalzare una collegiata meravigliosa e imponente nel centro del paese, affidarono a loro il compito di costruirne i monumentali pilastri e il campanile.

A lavoro ultimato si pose il problema del trasporto e della messa in opera dei pesanti massi squadrati. Perché non chiedere aiuto a Haunold, il gigante buono che viveva sui monti vicino al paese? "Voi mi date da mangiare e io vi faccio il lavoro".

Ma i giganti non mangiano come passerotti: Haunold spazzolava un vitello arrosto al giorno, un sacco di patate, un sacco di fagioli e una botte di vino. Per il paese diventava sempre più difficile onorare l'impegno. A opera conclusa peraltro si era convinto di aver guadagnato il pranzo per sempre! Bell'affare, e adesso?

L'unica soluzione era far fuori il gigante. Nottetempo i paesani costruirono una trappola, con l'inganno fecero precipitare il povero Haunold in fondo al buco e lo trafissero con le lance e le frecce. Gran cosa la gratitudine!

E poi si pentirono. In fondo il bestione non aveva fatto nulla di male, era solo grosso e affamato. In fondo li aveva aiutati a costruire la loro splendida chiesa. Per tacitare in parte la coscienza e perpetrare il ricordo del buon gigante chiamarono Haunold la montagna vicino al paese (Rocca dei Baranci) ed appesero una delle sue enormi costole nell'ingresso della collegiata.

Questa è una delle versioni della leggenda di Haunold. Un'altra narra che il gigante costruì da solo tutta la chiesa e morì cadendo dal campanile l'ultimo giorno di lavoro mentre sistemava sulla cima del tetto la grande croce. L'unica cosa certa è che la sua costola si può ancora vedere al suo posto in chiesa, a distanza di tanti secoli, a imperitura memoria del gigante buono(*) :)

(*) Costola di un grosso sauro preistorico arrivata a S.Candido chissà da dove e donata alla chiesa da un pellegrino intorno al 1650

martedì 8 gennaio 2008

Seconda puntata: la risposta degli impiantisti al prof.Daidola

Marilleva 900

Per una parvenza di par condicio (che come la penso io mi pare sia abbastanza chiaro) posto la risposta degli impiantisti all'articolo del prof. Giorgio Daidola.

Dal quotidiano l'Adige del 2 marzo 2005

"Il nostro è un modello di sci industriale? È vero. Sarà triste, ma dà lavoro a tanta gente. La neve artificiale innesca la spirale dei costi? Ok. Ma senza come avremmo fatto quest'anno? L'altro giorno sono scesi 15 cm di neve e tre persone sono venute in ufficio a chiederci perché non battevamo le piste... ".

Alle tesi del professor Giorgio Daidola ribatte Alberto Pedrotti, presidente della sezione impianti a fune dell'Associazione industriali, direttore tecnico della Funivie Folgarida Marilleva spa, vicepresidente di Trento Funivie spa e Pejo Funivie spa. Ma sui dati della crisi, Pedrotti conviene.

Il 60% delle stazioni alpine è in deficit, gli sciatori calano.

"È vero che sulle Alpi 7 società su 10 sono in rosso. È vero che negli Usa hanno chiuso 300 stazioni su 800. Perché sono gestite da privati. Fosse così in Trentino, allora Bondone, Polsa e Panarotta avrebbero chiuso da un pezzo, ma il nostro sistema di piccole e medie stazioni mantiene un'economia di alberghi, commerci, indotto. Sono le spinte di valle, comunali, a chiederlo. Sul Bondone, quest'anno chiudiamo in pareggio gestionale perché sta andando bene, ma dal '90 non è mai stato ristrutturato un solo posto letto ".

Società in rosso, contributi che vengono meno...

"In Trentino fanno utili 3 società su 10, fuori dal Trentino è ovunque una tragedia. Anche in Val d'Aosta, dove i contributi regionali erano più elevati dei nostri".

Ma lo sci è in calo.

"Non è così certo, perché il numero di passaggi è costante. La diminuzione si avverte di più nelle stazioni minori, proprio quelle che per Daidola si apprezzerebbero meglio. Prendiamo Pejo: è tranquilla, ben curata, dalle piste si vedono giornalmente i camosci. Ma l'offerta impiantistica è quella che è e Pejo non lavora. Eppure lì c'è una delle due ultime seggiovie monoposto del Trentino: è del '68, nel 2008 dovremo sostituirla perché cessa la vita tecnica".

Allora la strategia qual'è?

"Diminuire il numero degli impianti per contenere costi di funzionamento, energia, addetti. In Bondone ne rimarranno 4 o 5 di impianti: Palon, Rocce Rosse, una seggiovia per il campo scuola alla Cordela e probabilmente un impianto unico Vaneze-Montesel".

Però ci sono grandi progetti di collegamenti, ampliamenti...

"Beh, mi perdoneranno gli amici del Brocon ma lì sono un po' distanti. Gli impianti però, leggo dati della Provincia, occupano in Trentino lo 0,31% del territorio che è di 620 mila ettari. Sopra i 1.000 metri di quota siamo allo 0,45%. In tutto abbiamo 430 km di piste per lo sci alpino, 480 per lo sci nordico e 253 impianti. Erano 340 nel 1980. Calcolando una larghezza di 10 metri a impianto occupano 240 ettari, in tutto fanno 1.938 ha. Le sciovie non sono state eleminate, sono 80 contro le 186 del 1985. Sono calate perché sono poco apprezzate dalla clientela, qui non siamo in Francia o Austria dove arrivi a 2.600 metri con lo skilift e non c'è neanche l'addetto. Da noi devono essere presidiate. La settimana bianca in malga piacerà al professor Daidola, ma la gente apprezza i caroselli ".

È o non è un settore maturo, quello dello sci?

"Siamo d'accordo sull'Après Ski e le offerte di altre cose, ma per noi sono costi. E le discese in slitta sulle piste sono pericolosissime. Comunque Folgarida Marilleva incassa 18 milioni di euro a stagione, ne consegue un indotto di 150-180 milioni di euro".

L'Unione europea impone la riduzione dei contributi pubblici. E poi?

"Le piccole e medio-piccole stazioni soffriranno e gli enti pubblici dovranno diventare azionisti".

Prossimamente altre due puntate, stay tuned ;)

lunedì 7 gennaio 2008

Il suo primo sesto grado

Ada Tondolo (fonte: cazzeggi letterari)

Bel post sul blog del solito Lucio Angelini: Ada Tondolo, 86 anni appena compiuti e tuttora in giro per monti, racconta l'emozione del suo primo sesto grado sul Sass Maor (Pale di San Martino), via Castiglioni-Detassis. Questo alla fine degli anni 40, quando le signorine per bene non erano use ad arrampicarsi su per i crozi ma "le femne le sta a la so casa".

Pezzo scritto con entusiasmo e freschezza e pubblicato sulla rivista "Le Alpi venete", nella primavera del 1949

Lucangel, sei il più linkato in questo blog. Peccato che sia per meriti altrui ;)


Neunundneunzig Luftballons

Foto Wikimedia, licenza public domain

A Dobbiaco/Toblach come ogni anno da 6 anni in qua si sta svolgendo il Balloonfestival: dal 5 al 13 gennaio una ventina di equipaggi provenienti da mezza Europa si incontrano, gareggiano e cazzeggiano nel cielo della Val Pusteria/Pustertal.

Dev'essere uno spettacolo magico e inconsueto: la valle innevata, gran bella di suo, punteggiata in aria e a terra di mongolfiere colorate.

Immagino la "Caccia alla Volpe": "In questa gara i partecipanti cercano di atterrare o di lanciare il proprio contrassegno il più vicino possibile al "pallone volpe". Ad essi viene comunicato il tempo di volo previsto del pallone volpe, il quale decide per proprio conto il momento della partenza. I concorrenti partono circa 10 - 15 minuti più tardi da una stessa area di decollo." Tanti palloni che partono insieme dallo stesso posto verso la stessa direzione trapuntando l'orizzonte di colori. Altrettanto spettacolare il gonfiaggio notturno delle mongolfiere: i grandi palloni colorati e i fuochi dei bruciatori accesi sullo sfondo buio della notte.

I più curiosi o coraggiosi, meteo permettendo, possono provare un volo in mongolfiera: fra preparazione del pallone, dell'equipaggio, istruzione, volo e atterraggio l'esperienza dura circa un pomeriggio, di cui un'ora di volo effettivo. Mi piacerebbe parecchio vedere le Dolomiti dal cesto di un pallone, peccato che costi davvero un botto!

«Sci di massa, un modello senza futuro»

Merano 2000 - Bacino per l'innevamento artificiale

Dal giornale "L'Adige" di Trento di martedi' 1° marzo 2005

PROF AMBIENTALISTA. Giorgio Daidola, professore universitario, è un grande conoscitore della montagna

Di FABRIZIO TORCHIO

Pinzolo-Campiglio, lo sviluppo del Brocon, il grande carosello di Folgaria-Lastebasse e il collegamento San Martino-passo Rolle, nel parco delle Pale. Ancora piloni, seggiovie, piste e cannoni da neve da realizzare in fretta, perché ogni anno la lancetta dei contributi pubblici segna cinque punti in meno. Il 17,5% a chi fa domanda quest´anno per il 2006, il 12,5 l´anno prossimo. Ecco l´urgenza di progettare, di staccare licenze.

«Ma è un modello che fa male alla montagna e allo sci», obietta Giorgio Daidola, docente universitario di economia e gestione delle imprese turistiche a Trento. «Investono il denaro di tutti in un settore maturo, in crisi e senza futuro». Negli Usa - rammenta - in 20 anni le stazioni di sci sono scese da oltre 800 a 490. Se il fatturato delle stazioni alpine non cresce, i costi gestionali salgono alimentando la corsa al contributo pubblico. «Continuare a investire in modo massiccio nel settore dello sci di massa - avverte il professore - è oltremodo rischioso»

Ma Daidola, torinese con maso in Val dei Mocheni (abita a Frassilongo e sul prato di casa scia con una vecchia manovia) non è solo un economista. Del pianeta bianco è protagonista: maestro di sci dal ´71, presidente dell´Associazione telemark international, a «talloni liberi» ha sceso per primo un ottomila in Tibet, lo Shisha Pangma. Ha disegnato serpentine sui vulcani del Sudamerica e attraversato grandi ghiacciai in Canada e Antartide. Il suo invito a non usare gli impianti in Val Jumela, risalendola con le pelli di foca, gli ha allontanato più di un amico e la distanza della politica provinciale.

Lo sci sta diventando monotono e noioso, dicono a «The White Planet» chiedendo meno piste battute e meno pressione sulla natura. «Sono d´accordo, meglio gli impianti leggeri che danno minori impatti sull´ambiente, richiedono minori investimenti, consentono più veloce recupero del capitale e sono più flessibili: gli imprenditori non sono costretti a tenerli aperti».

Lo sci è in crisi? «I dati dicono che dal 1997 al 2004 il numero di sciatori è sceso del 24%. Prudenzialmente - sono aumentati gli snowboarder - valutiamo un calo del 10% contro l´aumento del 35% dell´escursionismo estivo. Le vendite di sci sono diminuite del 30% dal ´93 al ´98, da 6,2 a 4,3 milioni di paia. Dagli anni ´70 ad oggi si è scesi da 390 a 110 centimetri di neve caduta: il 60%; a 1.200 metri abbiamo 124 giorni di neve al suolo con una riduzione del 20% della superficie nevosa. La neve artificiale, inizialmente usata per piccole zone, ha innescato una spirale: per pagare gli investimenti necessari a produrla bisogna aumentare i passaggi, quindi le portate orarie degli impianti. L´industria dello sci, da flessibile, è diventata rigida».

E i costi? «Mantenere 70 milioni di passaggi all´anno richiede grandi spese di promozione per attirare mercati distanti, che spesso poi pagano poco. Il costo della neve artificiale è stimato in 136 mila euro ad ettaro, compresi gli ammortamenti degli impianti e il costo d´esercizio. E il 60% delle stazioni sulle Alpi è in deficit».

È anche cambiato lo sci. «La neve artificiale è fatta di palline di ghiaccio che pesano quattro volte di più e richiedono continue lavorazioni per non diventare una superficie durissima. I francesi correttamente la chiamano neige de culture, neve di coltura, e ha fatto nascere attrezzi e tecnica diversi: lo sci corto e molto sciancrato per mordere. Pensi che all´ultimo corso di aggiornamento per maestri, Colturi si scusava con noi. Aveva nevicato e non poteva mostrarci la deformazione degli attrezzi. Lo sci industriale ha tolto libertà d´espressione e portato maggiori velocità, più incidenti e l´ossessione per la sicurezza. Servono più piste-autostrade per smaltire il traffico».

Le alternative? «Stazioni sciistiche più leggere con sciovie, manovie, slittoni. Malghe e agritur che sono stati ristrutturati con milioni di euro, anziché restare chiusi potrebbero funzionare anche d´inverno. C´è un nuovo oro delle Alpi là sotto: una manovia sul prato sotto la malga è meglio dei Luna Park di plastica delle stazioni di sci. Per i bambini, ad esempio, sui quali dobbiamo investire. Una settimana bianca in una malga, quella sì segnerebbe uno stacco dalla città. E basterebbero investimenti irrilevanti. Il modello alternativo, se lo si vuole, esiste e può reggere. Non dà facili arricchimenti, ma permette alla gente di restare in montagna. Sa cosa sta succedendo in Francia? La Compagnie des Alpes, che investe in impianti solo sopra i 1.800 metri e con ottica espansionistica, vede gli utili in calo. E cosa fa? Investe in pianura, nei grandi Luna Park. Lo sci viene considerato un prodotto maturo da tutti gli analisti, che parlano di riposizionamento: après ski, dalle cene al rifugio alle discese con la slitta».

sabato 5 gennaio 2008

Ciaspolata artificiale

Logo della "Ciaspolada"

Nevica da ieri. Non questo granché, ma nevica. Abbastanza perché il percorso della Ciaspolada di domani assomigli vagamente a un sentiero invernale; non abbastanza e troppo a ridosso della gara per evitare l'innevamento artificiale dei 6 km di percorso.

Meglio dell'anno scorso, certo, quando si corse su una striscia bianca di neve finta in un paesaggio autunnale color grigio-marrone, senza nulla che potesse ricordare l'inverno (qui una foto scattata dal blogger Ottobre31, per farsi un'idea).

Ormai sono anni che alla befana, data fissa della Ciaspolada, si inneva con i cannoni. Sono anni che ai 1000 metri s.l.m. del percorso (in val di Non, Trentino occidentale), neve naturale nada, niet o troppo poca, nonostante le macumbe, le danze propiziatorie, i sacrifici animali (sotto forma di speck, luganeghe e mortandele ;).

Quindi sono anni che un rosario di camion fa la spola dal Lago Smeraldo, dal quale si pompa l'acqua per produrre la neve artificiale, fino al percorso di gara dove lavorano un paio di ruspe e diverse persone per stenderla. Per far correre in sicurezza i circa 6000 iscritti alla gara serve uno spessore di circa 40 cm. di neve. Non sono molti chilometri, ma sono un numero impressionante di viaggi: circa 1200. Un numero impressionante di litri di gasolio, chili di polveri sottili, CO2. E un sacco di soldi (40-50 mila euro, leggo in giro).

Cosa voglio dire con questo post? In fondo niente di particolare. La Ciaspolada è sicuramente meno dannosa di moltissime altre espressioni di sport invernali, non servono impianti di risalita, dura un giorno poi i bisonti si tolgono dalle scatole, non mi risulta restino danni permanenti al territorio, il Lago Smeraldo è un bacino artificiale che non soffre per il prelievo dell'acqua necessaria, come pare non soffra troppo nemmeno il Rio Fondo. Forse solo che "signora mia, non ci sono più le nevicate di una volta" e sarebbe meglio iniziare a pensarci seriamente.

Però, però però.. Ecco, però. Un leggero senso di disagio mi resta. Ma si sa da tempo, sono una vecchia e noiosa pentola di fagioli brontolona.

venerdì 4 gennaio 2008

Numeri: imprenditori con i nostri soldi

Cannone per innevamento artificiale (foto reperita in rete)

Negli ultimi giorni del 2007 la Provincia Autonoma di Trento ha concesso qualche Euro di contributi alle società impiantistiche trentine. (Fonte: quotidiano L'Adige del 18 dicembre 2007). Si passa dai 25.000 Euro per l'acquisto di cannoni per l'innevamento artificiale concessi alla Società Nuova Rosalpina di Siror ai 13.725 euro alla Sinval di Edolo per l'ampliamento di una pista nell'area sciistica del Passo Tonale; dai 360.160 Euro sganciati alla Funivie Buffaure di Fassa per la neve artificiale, lavori alle piste da sci e l'acquisto di battipista, ai 593.199 euro per un "tappeto mobile per il trasporto degli sciatori" alla Funivie San Martino di Srior; alla "Paganella 2001" di Andalo sono andati 1.357.353 euro per l'acquisto di battipista, per l'innevamento artificiale e per migliorie alle piste. Alla Società Funivie Folgarida Marilleva 144.813 euro per acquistare battipista e 237.558 euro per la realizzazione della seggiovia biposto Campo scuola-Malghetto, mentre alle Funivie Madonna di Campiglio 200.275 euro per impianti di neve artificiale, miglioramenti alle piste e acquisto di mezzi battipista più 1.200.576 euro per ammodernare la telecabina Fortini - Pian del Graffer e Pian del Graffer - Grostè e realizzare la telecabina ad otto posti Madonna di Campiglio - Pancugolo (qui l'articolo del quotidiano).

Eccetera eccetera, per la modesta cifra di 20.623.000 di Euro. Quasi tutte povere aziende in difficoltà economiche, che lavorano in un settore in difficoltà, che investono ogni anno centinaia di migliaia di euro per la salvaguardia dell'ambiente, operando in favore della comunità con ritorni economici modestissimi e senza invadere terreni demaniali. O no??

mercoledì 2 gennaio 2008

Felicità

Foto Wikipedia, licenza Copyleft in Italia

"Qualche felicità c'è, anche in questo mondo. Va bene che si tratta sempre, tutt'al più, di leggére ebrezze che un poco ci allontanano, appunto, da questo mondo, e ce lo fanno scordare; ma insomma c'è. E chi è savio sa ritrovare la felicità sua, confacente alla sua natura e ai suoi gusti; e così anch'io, che sono savio, la mia. E la mia, finché dura, è questa: sacco su le spalle, grosse scarpe ferrate, pipa tirolese; e andare in giro per le Alpi. Più su, e meglio è; più solo, e meglio è...."

Manara Valgimigli, 1876 - 1956, filologo, saggista, docente di letteratura classica in licei e università; socialista, antifascista amico di Sandro Pertini e Pietro Nenni

martedì 1 gennaio 2008

La vosa bona man a mi

A capodanno il trucco era dirlo per primi: "Bondì, bon an, la vosa bona man a mi e miga la mea a ti!!!!"

Da ragazzini si passava di casa in casa, si apostrofavano parenti, amici e conoscenti per strada e in piazza: "La vosa bona man!" E i malcapitati presi alla sprovvista, a cui mancava la prontezza di strillarlo per primi, dovevano tirare fuori di tasca una monetina, una caramella, un mandarino o un pugno di noccioline: la bona man, un piccolo regalo augurale per l'inizio dell'anno nuovo, la continuazione rivisitata di antiche tradizioni che facevano del capodanno un giorno magico nel quale scambiarsi doni che avrebbero portato fortuna e prosperità per l'intero anno che iniziava.

Chissà se in paese i monelli girano ancora, il modo di dire comunque è rimasto: la vosa bona man a mi, miei 15 lettori ;)