sabato 29 giugno 2013

Coccodrilli tardivi

Libera scienza in libero statoMargherita Hack

Libera scienza in libero stato

Editore
Rizzoli  (collana Saggi italiani)

Anno 2010
ISBN 9788817046138

“Da qualche anno si fa un gran parlare di «innovazione», magica parola che dovrebbe permettere ai Paesi del mondo industrializzato di reggere la concorrenza dei Paesi emergenti, che producono le stesse cose a prezzi enormemente inferiori. Innovazione significa dunque immaginare nuovi modi di produrre le stesse cose a minor costo, oppure inventare nuovi prodotti, dai più complessi ai più semplici, che in qualche maniera facilitino la nostra vita quotidiana in casa o sul lavoro, o macchine o utensili più facili da usare di quelli esistenti, o creare marchingegni e renderli indispensabili.

Innovazione significa anche utilizzare le conoscenze sul funzionamento del nostro corpo per vivere meglio e in miglior salute, e soprattutto trovare il modo di debellare tante malattie ancora oggi inguaribili. Basta pensare a quali e quanti sono stati i progressi della medicina nel corso di questi ultimi cento anni.

Perciò l'innovazione è frutto della tecnologia e la tecnologia è frutto della ricerca applicata, la quale a sua volta deriva dalla ricerca di base: la ricerca, cioè, che non si pone problemi di applicazioni pratiche, ma si occupa solo di scoprire le leggi che regolano l'universo, il nostro pianeta, il nostro corpo, la ricerca che soddisfa la curiosità e insegue la conoscenza per la conoscenza.

Allora perché in Italia si dà così poca importanza alla ricerca scientifica? Quando si parla di innovazione lo si fa sempre a vanvera. Invece l'interesse per la scienza e le sue applicazioni dovrebbe essere inculcato nei bambini già dalle prime classi elementari.

Disinteresse per la scienza significa anche e soprattutto disinteresse per la cultura, per la scuola di ogni ordine e grado, che è quella che dovrebbe «nutrire» i cervelli di ogni cittadino.

[...]

Il semianalfabetismo o addirittura analfabetismo scientifico spiegano tante paure irrazionali e la credulità in pseudoscienze come l'astrologia, il paranormale, il creazionismo. La scarsa considerazione che la nostra classe politica e in particolare quella più recente riserva all'istruzione, all'università e alla ricerca è la conseguenza del basso livello culturale della gran maggioranza degli eletti in Parlamento.

[…]

Come se non bastasse, anche il papa si permette di accusare gli scienziati di essere arroganti e avidi: «La scienza moderna a volte segue solo il facile guadagno e tenta di sostituirsi al Creatore con arroganza, senza essere in grado di elaborare principi etici, mettendo in grave pericolo la stessa umanità».

E, dati alla mano, gli scienziati italiani proprio non si meritano queste accuse: a più di trent'anni un ricercatore arriva a uno stipendio di poco superiore ai 1000 euro al mese, e un professore ordinario alla fine della carriera non supera gli 80.000 euro lordi all'anno. Questo in moneta sonante è il valore che l'Italia riconosce alla cultura, alla ricerca e alla tanto celebrata innovazione che evidentemente riempie le bocche ma non le tasche.

[…]

Ma l'ingerenza della Chiesa sulla scienza non è finita. Se si guarda bene dall'intervenire sulle ricerche di pertinenza delle scienze abiologiche come la fisica o la matematica, ben diverso è il caso che riguarda le scienze biologiche, o scienze della vita. Esempi recenti sono le pressioni su deputati e senatori che per la loro ignoranza scientifica hanno partorito la vergognosa legge 40 sulla fecondazione assistita, gli ostacoli posti al testamento biologico, cioè la dichiarazione consapevole di non volersi sottoporre all'accanimento terapeutico, l'impossibilità per un malato terminale di ottenere l'eutanasia, per non parlare poi degli ostacoli posti alla stesura di una legge per i diritti delle coppie di fatto, sia etero sia omosessuali. Insomma la scienza è umiliata dalla politica, che a sua volta è succube del Vaticano.

[…]

Nel giugno 2005 c'è il referendum per ottenere l'abrogazione della famigerata legge 40 del 19 febbraio 2004, che limita l'accesso alle tecniche di inseminazione artificiale alle sole coppie sterili, non consente la fecondazione eterologa (l'impiego di gameti da parte di terze persone), non consente la crioconservazione (il congelamento degli embrioni), vieta qualsiasi sperimentazione sulle cellule staminali embrionali, anche soprannumerarie e congelate - ricerche che potrebbero permettere la guarigione da malattie ancora oggi inguaribili - e soprattutto vieta la diagnosi preimpianto. Così portatori sani di malattie, per esempio l'anemia mediterranea, non possono accertarsi che l'embrione da impiantare sia sano e rischiano di mettere al mondo un bambino che avrà una vita d'inferno, oppure la donna si troverà costretta ad abortire. E qui si tocca il culmine dell'assurdità: l'embrione, che ha l'anima, deve comunque essere impiantato, casomai se il feto è malato si ricorre all'aborto. Quindi l'anima dell'embrione è più importante di quella del feto. Inoltre impone alla donna l'impianto di tutti gli embrioni ottenuti, senza che abbia la libertà di interrompere il trattamento.

Il referendum non raggiunge il quorum del 50 per cento più uno dei votanti. Solo il 25,9 per cento si reca alle urne, sia per l'aperta e martellante propaganda della Chiesa sull'astensione, sia per la mancanza di informazione, chiara e semplice, sugli scopi del referendum da parte dei vari canali televisivi, quasi tutti asserviti al potere politico.

[…]

Qualche ripensamento da parte della Chiesa per non ripetere casi analoghi a quello di Galileo arriva nel luglio 2009 da parte di monsignor Sergio Pagano, capo dell'Archivio segreto: «Il caso Galileo insegna alla Chiesa ad accostarsi ai problemi scientifici con molta umiltà e circospezione, fossero anche quelli legati alla più moderna ricerca sulle cellule staminali».

Ma il governo è più papista del papa perché finanzia soltanto i progetti in cui si usano cellule staminali adulte, sebbene gli studi sulle cellule staminali embrionali siano legali purché «la distruzione degli embrioni non avvenga in Italia e le cellule siano importate dall'estero». Un bell'esempio di ipocrisia!

Margherita Hack

martedì 25 giugno 2013

Ci si chiede sempre perché

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Königspitze - Gran Zebrù

Anche sul N.G. it.sport.montagna (sì, esiste ancora, e qualcuno ancora ci scrive) ci si sta chiedendo “perché?”. Fatalità, errore, imprudenza, poca preparazione, sfiga? Difficile parlare seduti in poltrona. Luigi Ruggera ha raccolto per il “Corriere dell’Alto Adige” (che non posso linkare perché non c’è on line) la testimonianza di chi li ha visti volare, Fabio Lenti, guida alpina:

«Nella cordata davanti a quella dei tre ragazzi altoatesini c'era anche un istruttore del Cai, che li aveva avvisati: tornate indietro, è pericoloso. Ma loro purtroppo non hanno seguito il consiglio e, poco dopo, sono precipitati. All'istruttore del Cai che li aveva avvisati — continua Lenti — hanno risposto che per loro non c'era alcun problema ed hanno quindi proseguito. Poco dopo, si è verificato il tragico incidente: li ho visti precipitare. Avevano sottovalutato la situazione del manto nevoso: pensavano, probabilmente, che la neve fosse molle e che quindi, anche in caso di caduta, sarebbero riusciti a fermarsi. Ma così non è stato perché in quel tratto il pendio è molto ripido, fino a 45 gradi. Nei pressi del collo di bottiglia, in effetti, la loro caduta si era rallentata, ma non sono comunque riusciti a fermarsi ed hanno poi fatto il salto della parete, precipitando nel vuoto».

Lorenzo Zampatti, Presidente CNSAS Alto Adige, intervistato per  la stessa testata da Federico Mele, risponde fra l’altro:

«Sicuramente si tratta di una coincidenza, anche se è inevitabile pensare che qualche errore è stato commesso, in entrambi i casi. Per il primo incidente so che ci sono testimoni, e hanno confermato che i tre alpinisti erano legati tra loro senza però, come si dice in gergo, "fare sicurezza" a terra. Per quanto riguarda invece il secondo incidente, quello del primo pomeriggio, la dinamica non è ancora molto chiara, anche se è molto probabile che sia accaduta la stessa cosa. Ed è inevitabile che affrontando la salita in questo modo, basta la caduta di uno, per trascinare giù anche gli altri».

Sul quotidiano Alto Adige a parlare invece è Christian Knoll, del Soccorso Alpino di Sulden – Solda, che ha partecipato alla spedizione di recupero degli alpinisti:

«Con la stagione avanzata, normalmente chi scivola lungo il pendio sommitale è in grado di fermarsi ai suoi piedi, dove c’è una specie di catino circondato da roccette - spiega Knoll –ma in questo periodo c’è ancora molta neve, il catino è coperto e il pendio si trasforma in una sorta di trampolino di lancio verso il vuoto.
Non si può dire che gli alpinisti morti ieri siano andati incontro al loro destino da sprovveduti, tutti erano perfettamente equipaggiati, al termine della caduta indossavano ancora i ramponi - continua – il problema è che la neve può diventare instabile, basta poco a metterla in movimento e quando parte un membro della cordata, soprattutto se è il primo, c’è il rischio concreto che porti con sè anche i compagni
»

375px-Reinhold_Messner_at_Juval_(2012)Reinhold Messner (Autore Vale93b Fonte Wikimedia Commons, licenza Creative Commons 3.0)

E poi arriva Messner a dire la sua, sempre per L’Alto Adige, a Massimiliano Bona:

«Quello è un posto pericoloso, negli ultimi anni quasi maledetto, e se non ci sono le condizioni bisogna avere il coraggio di tornare indietro». Racconta di essere tornato indietro, nello stesso posto, con condizioni simili e di non essersi vergognato: «In questi casi bisogna pensare che la montagna resta e l'esperienza che un alpinista fa a tornare indietro è probabilmente più importante e formativa di quella che avrebbe fatto a raggiungere la vetta. In cima non c’è nessuno a darti la medaglia»

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L’Ortler – Ortles

Aggiunge poi con un certo cinismo: «Non ho problemi a dire che chi affronterà questa mattina* la parete Nord dell'Ortles, e scommetto che saranno in tanti, è uno stupido. Ma veramente stupido. Il rischio che cadano dei seracchi, dei blocchi di ghiaccio, è molto elevato. Può accadere tre volte alla settimana o tre volte in un mese in questo periodo ma il rischio c'è. Fosse per me impedirei anche ai più esperti di salire: metterei un divieto di transito in alta quota.

Età, forma fisica, esperienza e conoscenza del territorio sono fondamentali. Chi sale tardi in questo periodo non ha la testa a posto». «Con questo caldo non gela più la notte e gli alpinisti non hanno sotto i piedi uno strato compatto. Il primo che cade, poi, trascina gli altri a valle con le tragiche conseguenze di ieri sul Gran Zebrù».

Aggiunge ancora Messner: «Io con questo caldo non andrei a fare una salita sul Gran Zebrù. Gli escursionisti esperti lo dovrebbero sapere». […] «Anche la via normale è molto pericolosa con le alte temperature e se l’inverno ha portato tanta neve. Io penso, ma non posso dimostrarlo, perché non sono salito, che nella zona dell’incidente sia caduta una valanga di neve bagnata. Con le attuali temperature la neve non riesce a solidificarsi creando così una situazione di forte pericolo. La neve bagnata tende a scivolare» […] «anche avere la piccozza non garantisce sufficiente sicurezza».

Fatalità, errore, imprudenza, sfiga? Tutto insieme, forse. Resta il rimpianto di 6 giovani morti, di famiglie distrutte, di bimbetti che si chiederanno per sempre “perché”.

Chissà almeno se il prossimo we qualcuno farà tesoro di questa tragedia e ci informerà meglio sulle condizioni.

* lunedì mattina

lunedì 24 giugno 2013

Un inverno che non finisce mai

Ieri, 23 giugno, a quest’ora a Bolzano c’erano 33°C, oggi ce ne sono 13 sul mio balcone.

Un po’ di immagini rubate alle webcam qui attorno:

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alpe di siusi

Seiseralm – Alpe di Siusi

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Ai piedi delle Odle

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Bletterbach

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5 Torri. Qui, adesso, sta ancora nevicando.

Ieri c’è stata l’inaugurazione della stagione estiva nei rifugi. Oggi neve fino a 1400 metri, 25° di escursione termica, di nuovo inverno.

Chissà perché il mio orto non si decide a far bene, quest’anno! :S

Come sei bella!

E come sei pericolosa :(

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Königspitze -  Gran Zebrù

Wolfgang, Matthias e Jan; Matteo, Michele, Daniele.

mercoledì 19 giugno 2013

Michil vi racconta il passo Sella

passo sella 

Sellajoch - Passo Sella

Questo articolo è comparso sul quotidiano Alto Adige il giorno 12/06/2013 a firma Michil Costa, albergatore della val Badia ed esponente dei Verdi altoatesini.

Si può leggere sul blog dell’autore in formato jpg. Sul quotidiano on line non riesco a localizzarlo, ed è un peccato non si trovi tramite google. Quindi eccolo qui, più comodo da leggere ed indicizzato, più o meno d’accordo che si sia:

VI RACCONTO IL PASSO SELLA E CAPIRETE

L'estate è alle porte e la solita ridda di voci - promesse, chiacchiere e polemiche - è tornata ad accendere la "rissa" sui passi dolomitici, alla quale il sottoscritto e la sua categoria assistono ormai da anni, nella speranza di fare affari d'oro, nonostante la crisi infinita. E cosa facciamo, per riconquistare i turisti dei bei tempi? Offriamo spettacoli come quello del rifugio in cima al passo Sella, ai piedi del Sassolungo. La scena classica, in un giorno di stagione, merita di essere descritta. I pensionati tedeschi che scendono dai pullman, estasiati dal volo dei parapendii. Le auto sportive richiamate fin lassù da un raduno che strombazzano allegre con i loro vecchi clacson. Ex giovani con le loro icone rock stampate sulle magliette e i giubbotti di pelle con teschi e catene, un po' immusoniti perché nessuno ammira le loro motociclette cromate. I ciclisti che camminano in punta di piedi sulle loro scarpette, spingendo le loro specialissime, cercando di sfuggire a quel caos di individui e veicoli. Gli alpinisti che ripongono corde e moschettoni nelle loro auto, per loro la giornata sportiva volge già al termine. Una lunga colonna di vetture sale dal versante gardenese, dall'altra parte giunge invece il rombo di potentissime moto sportive, rumori amplificati dalle torri del Sella, paradiso per gli scalatori di mezzo mondo.

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Tramonto autunnale sul Sellagruppe - gruppo del Sella

Ma un mio amico, guida alpina, mi ha detto che i suoi clienti non li porta più ad arrampicare su quelle placche. Perché non ci sente più: a causa di quel rumore, la guida non riesce più a comunicare con i propri allievi. Ecco, adesso direte che - come al solito - ho esagerato. Ma questa scena rispecchia comunque quello che sono diventati i nostri passi, centri commerciali della montagna, che non hanno nulla da invidiare a Disneyworld. Per fortuna non è sempre così. Fuori stagione vi regna la pace. Non c'è un'anima. Strano, vero? Non sono le montagne più belle del mondo? E allora, mi chiedo io, perché non proviamo "valorizzarli" - come si dice al giorno d'oggi - questi luoghi? Perché non li facciamo tornare i posti unici che sono, una meta da raggiungere, un'avventura che non può essere consumata in tre minuti ma va vissuta fino in fondo, con l'energia e la calma, per tutto il corso dell'anno? Ai miei colleghi che sperano di tornare a fare affari dico che il turismo di qualità sarà sempre più legato a tre fattori: natura, cultura, individualità. I passi dolomitici, oggi, sono natura. Punto.

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Langkofel - Sassolungo dal Sellajoch - passo Sella

E allora perché non farli diventare anche un traguardo a cui ambire? Come? Chiudendoli al traffico motorizzato a fasce orarie. Lanciando una straordinaria operazione di marketing. Adottando anche d'estate il modello invernale del Dolomiti Superski, garantendo la mobilità con gli shuttle e l'apertura estiva degli impianti di risalita, pubblicizzando le Dolomiti Unesco per quello che sono veramente: un'area tutelata da vivere fino in fondo, senza queste scene da Disneyworld, ma con la fatica che diventa bellezza. Puntando, ad esempio, su quello che è un trend ormai affermato: i ciclisti. Per gli appassionati della bicicletta pedalare qui, liberi dall'inquinamento acustico e atmosferico, è una cosa straordinaria, come arrivare in cima a El Capitan per uno scalatore. Un'esperienza unica. Assieme a loro, possiamo puntare anche sui giovani che stanno riscoprendo la montagna, sugli anziani che potranno godersi il volo dei parapendii senza temere di essere investiti da un motociclista che ha come unico anelito quello della velocità. Per i raduni di auto storiche dovrebbero essere necessari dei permessi speciali: le guide alpine ringrazierebbero e tornerebbero a portare i loro clienti sulle torri del Sella. Io ne sono convinto: ci guadagneremmo tutti, non solo la mia categoria. In termini economici e di qualità della vita.”

martedì 18 giugno 2013

In luglio con le ciaspole

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Rifugio Boè (fonte quotidiano Alto Adige on line)

No, non sono foto del gennaio scorso, ma di una settimana fa! Il gestore del rifugio Boè è salito in quota con l’elicottero per vedere la situazione e, magari, cominciare a lavorare per aprire il rifugio. L’elicottero non è riuscito ad atterrare, la neve è ancora troppo alta, rischiava di affondare. La porta del rifugio è tuttora invisibile, spuntano dalla neve le finestre del piano superiore.

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(come sopra)

Lodovico Vaia, il gestore, ha cooptato tutti gli amici disponibili che con ciaspole, pale e buona volontà gli diano una mano a dissotterrare il rifugio e ad aprirlo per la fine del mese. Nel frattempo si batterà una pista, segnalata con le paline dell’ANAS, in modo che gli escursionisti, con le ciaspole mi raccomando! riescano a raggiungere il rifugio per godere di un panorama mai visto a quelle quote: il tramonto estivo in un ambiente prettamente invernale.

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Il rifugio in veste estiva

Situazione simile nella zona delle 3 cime di Lavaredo: il percorso che unisce i rifugi Zsigmondy-Comici, Büllelejoch-Pian di Cengia e Dreizinnenhütte-Locatelli è ancora in parte innevato e difficilmente percorribile, come molti sentieri sopra i 2000. I rifugi altoatesini raggiungibili con gli impianti sono tutti già aperti, sia in val Gardena che in Badia, se continua a far caldo si spera di poter aprire tutte le strutture entro l’ultimo fine settimana di giugno.

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Rifugio Büllelejoch Hütte - Pian di Cengia

Conviene però, prima di decidere l’escursione, dare un colpo di telefono al rifugio o all’ufficio guide alpine. Un sentiero normalmente molto facile può diventare un problema con neve o ghiaccio. Ieri salendo sullo Schwarzhorn abbiamo incrociato due ragazzi che ne scendevano, piuttosto impauriti dal semplice canalino del versante nord ovest: ripido e ghiacciato, in discesa non dev’essere simpaticissimo.

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Schwarzhorn – Corno Nero

Mi resta il fondato sospetto che a metà luglio il trekking in val Aurina e dintorni lo vedrò col binocolo a meno che non voglia farlo con gli sci :S

domenica 16 giugno 2013

Ha cominciato bene

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Geislergruppe / Le Odle

Da poco più di una settimana la presidenza della fondazione UNESCO è passata dalla provincia di Belluno alla provincia di Bolzano e nel suo discorso di insediamento, il neopresidente Pichler Rolle, assessore provinciale SVP alla “Natura, paesaggio e sviluppo del territorio”, aveva espresso le linee guida del prossimo triennio a gestione sudtirolese: ampliamento dell’area tutelata ai gruppi del Sassolungo, del Sella e delle Dolomiti austriache di Lienz, ricerca di una soluzione al traffico dei passi dolomitici, maggiore offerta di turismo sostenibile e occhio più attento alla comunicazione.

In una delle sue prime uscite ufficiali con la doppia carica di assessore e presidente della fondazione, ecco in sintesi la posizione di Pichler Rolle espressa il 13 giugno all’assemblea dei gestori di impianti di risalita: “No, i confini delle zone tutelate non si spostano per gli interessi degli impiantisti. Nemmeno di un metro. E non chiedetelo più.”

Si può discutere sull’ammodernamento degli impianti esistenti, del collegamento fra comprensori diversi se ne esistono le condizioni, ma niet nuove zone sciistiche né aggressioni all’area tutelata dall’UNESCO. Il riconoscimento delle Dolomiti come patrimonio dell’umanità deve acuire la sensibilità nei loro confronti e non essere un motivo di ulteriore sfruttamento.

L’inizio è condivisibile, vediamo poi se i buoni propositi resteranno solo chiacchiere, come sostiene a gran voce Reinhold Messner, che, per quanto mi stia piuttosto antipatico, sull’UNESCO temo abbia più che una ragione, o se la presidenza sudtirolese farà da volano a un reale cambiamento di politiche e strategie. Per certe cose davvero “Südtirol ist nicht Italien”, potrebbe funzionare, chissà.

lunedì 3 giugno 2013

Campa cavallo

..che la neve, forse, cala.

La situazione a ieri pomeriggio, 2 giugno:

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di questo passo toccherà aspettare ancora un po’ per andare, seriamente, per monti.