mercoledì 30 aprile 2008

Se 'l plöf per l'Assensa...

...per 40 dì non sen pù senza. Se piove il giorno dell'ascensione, ci tocca acqua per altri 40 giorni.

 

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Previsioni meteo per giovedì 1 maggio 2008

Ma ohibò, quale giorno dell'Ascensione? Nel ciclo liturgico la ricorrenza dell'Ascensione cade 40 giorni dopo la Pasqua, quindi di giovedì. Pare sia molto antica, se ne troverebbe testimonianza già negli scritti dello storico della Chiesa, Eusebio (265-340), vescovo di Cesarea.

Fino al 1977 in Italia era anche riconosciuta come festività civile, poi venne soppressa con la legge n. 54 del 5 marzo 1977 e spostata, anche la festa religiosa, alla domenica successiva. Ora, a quale ascensione si riferisce il proverbio? Visto che non è nato l'altro ieri, sicuramente a quella originale, quella fissata illo tempore: quest'anno, domani primo maggio, giovedì.

E le previsioni danno acqua, mentre domenica darebbero solicello: speriamo che alla legge 54 si sia adeguato anche il proverbio. O, meglio ancora, che si sbagli Meteotrentino :D

Per restare in tema di credenze e tradizioni: l'öf dell'Assensa*.

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(foto Fir0002, fonte Wikimedia Commons licenza GNU)

L'uovo ha sempre avuto un che di miracoloso: è simbolo di fecondità e di vita; sotterrato in primavera era per i romani un amuleto propizio per il raccolto; per alcune religioni pagane cielo e terra sarebbero due emisferi dello stesso uovo; per l'iconografia cristiana è il simbolo della resurrezione: la vita che esce dal sepolcro.

Tutta questa pippa introduttiva per raccontare che: in diversi paesi delle Alpi si credeva che il tuorlo dell'uovo deposto il venerdì santo preservasse dal veleno delle vipere, quello deposto il giorno dell'Ascensione invece, quando Gesù salì al cielo, proteggerebbe i contadini... dalle cadute a terra dalle scale.

Resta il dubbio: l'uovo di domani o quello di domenica? Tutti due e non se ne parli più.

(*) l'uovo dell'ascensione.

Attenti a non sconfinare, ragazzi!

Comunicato stampa della Provincia Autonoma di Bolzano, di oggi:

"Due orsi nel comprensorio del Burgraviato*

L’Ufficio caccia e pesca della Provincia informa che oltre all’orso che ha svernato presumibilmente nei pressi di Passo Palade attualmente, nel comprensorio del Burgraviato, sono state riscontrate le tracce di un secondo plantigrado. Tracce della presenza di un terzo orso sono state avvistate nella zona di Fiè.

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Una foto di repertorio dell’orsa Jurka - (fonte: sito della Provincia)

In base alle esperienze sinora raccolte il primo esemplare dovrebbe essere un orso piuttosto timoroso e non pericoloso. Il secondo orso, che si aggirava dalla metà di aprile nella zona del Comune di Tesimo, dovrebbe essersi spostato nella zona di Monte San Vigilio dove la scorsa notte ha saccheggiato un’arnia.

Il Posto di custodia ittico – venatoria di Merano ha effettuato i necessari rilievi nella zona ed adottato o messo a disposizione le necessarie misure di tutela per gli animali domestici della zona, come, ad esempio, recinti elettrificati. Contemporaneamente sono state avvistate tracce della presenza di un orso, quindi il terzo, anche nell'area attorno a Fiè.

L’amministrazione provinciale sottolinea comunque il proprio impegno, in base al Piano di conservazione dell’orso bruno sulle Alpi centro – orientali  (Pacobace), a risarcire in maniera rapida e non burocratica i danni che saranno eventualmente provocati dal plantigrado."

(FG)

(*) Burgraviato: Merano e dintorni (n.d.f.)

martedì 29 aprile 2008

Due ragazze normali

Al TrentoFilmFestival Kay Rush intervista Nives Meroi e Silvia Vidal.

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Kay Rush e Nives Meroi al TrentoFilmFestival - Un fotogramma dell'intervista

Tornata da poco dal Makalù del quale porta ancora addosso i segni, sorride sempre, Nives, poi ride, prende in giro sé stessa con gli occhi che brillano; si emoziona parlando del K2, racconta senza imbarazzo di quando arrivata in vetta si è messa a piangere dalla gioia, ma senza Romano, il suo compagno di vita e di cordata, non sarebbe stata la stessa cosa.

Alpinista e donna, scelte di vita difficili che costano scelte e rinunce che gli uomini non devono fare.

La prima donna a scalare tutti gli 8000 della terra? Forse, ma così non fosse ci sono tanti altri progetti nella vita, tante altre pareti da salire, tante altre montagne da arrampicare, tante altre cose da fare.

SilviaVidal

Silvia Vidal intervistata al TrentoFilmFestival

Silvia Vidal, catalana, 21 giorni da sola in parete, 21 bivacchi per salire la sua nuova via, "Life is Lilac" nelle Torri del Trango in Pakistan, lunga 870m, che termina a 5.700 metri s.l.m. gradata A4+, 6a.

Le piace stare da sola ma le piacciono anche gli amici, le piace la natura ma ama la città, è piena di contraddizioni che lei sente come complementarietà, le piace la vita che, vista da 5000 metri di altezza dopo un'intera giornata immobile nel portaledge bloccata dal maltempo, le sembrava viola.

Perché ha iniziato subito a cimentarsi con le big wall? Ma perché sono grandi e c'è tanto da scalare, ovvio no? :D

Due simpatiche interviste a due simpatiche ragazze normali, autoironiche e sorridenti; a due fra le più forti alpiniste del mondo.

lunedì 28 aprile 2008

Era così

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Un fotogramma dal film

Sul sito del Trentofilmfestival un film documentario di Elio Orlandi, dedicato a Cesarino Fava, nato da una lunga intervista al noto alpinista appena scomparso.

Cesarino parla di sé, del suo concetto di alpinismo, della fatica di riprendersi dopo aver perso gran parte di entrambi i piedi per congelamento, e di quanta volontà e quanta passione ci vogliono per ricominciare ad arrampicare. Ride, scherza, arrampica, cammina, fa la "raspa" con le racchette sulla neve, sale e scende per i suoi crozi sempre tenendo a mente che "gli eroi alla lunga stufano" e non è affatto più montanaro (più alpinista, dice lui) chi se ne va per sentieri di chi arrampica pareti severe.

Un po' retorico nel testo ma ricco di belle immagini e pieno della simpatia che emanava il grande Patacorta, che non sembra retorico mai.

Scheda video:

TITOLO: PATACORTA
REGIA: Elio Orlandi
CATEGORIA: DAY BY DAY
DURATA: 26'25''

venerdì 25 aprile 2008

Patacorta

Cesare-Fava1 Cesarino Fava. (foto al borde)

"E' morto Cesarino, un grande vecchio saggio. Fino a pochi mesi fa, a quasi 88 anni, li avrebbe compiuti il prossimo 12 giugno, conservava una freschezza e lucidità invidiabili. Grande appassionato e amante delle montagne, sia del suo Brenta che della Patagonia.

Il Cesarino migliore era quello che parlava della vita, delle ingiustizie del mondo. In particolare dei "poblones", i poveri delle bidonville, illusi di potersi costruire un futuro su terre ostili nella lontana Argentina dove lui aveva vissuto per tanti anni.

[...] Ho perso, abbiamo perso tutti, una gran bella persona"

Giorgio Gajer,
segretario per l'Alto Adige del CNSAS (Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Spelelologico) Lettera al quotidiano Alto Adige del 24 aprile 2008.

Martedì è morto «Patacorta», zampacorta da quando si congelò i piedi e dovettero amputargliene un bel pezzo, per tentare di tirar fuori dai pasticci un alpinista americano, Richard Burdsall, mollato dalla guida argentina poco sotto la cima dell'Aconcagua, la montagna più alta delle Ande (m.6962). Per dire che tipo fosse Cesarino.

Con la sua camminata inconfondibile dovuta ai suoi cortissimi piedi, ha continuato ad andar per monti fino quasi alla fine, fra la val di Sole dove era nato e tornava appena poteva, e la Patagonia dove era emigrato e lavorava, fra il Cerro Torre, sul quale fu compagno di cordata di Cesare Maestri e Toni Egger nella prima drammatica salita nel 1959, ed il Brenta dove a 81 anni ha aperto una via nuova sulla Cima D'Ambiez.

Nella prefazione al suo libro "Patagonia, terra di sogni infranti" Cesare Maestri scrive: "Cesarino è l’uomo più importante della mia vita." E aggiunge: "E non l’ho scritto perché mi salvò la vita sotto il Torre, quando ero sfinito e moribondo. Quello non conta nulla con Cesarino c’era un legame che si nutriva di altro. Non avevamo neppure bisogno di vederci spesso, bastava poco per capirsi. Lui non è stato un forte alpinista ma un “grande” alpinista e andinista. Tutti gli alpinisti trentini che sono andati in Patagonia gli devono qualcosa, anche quelli che lo hanno pugnalato alle spalle. Lui ha sempre aiutato tutti(*)".

E' partito dal Trentino, tornato, ripartito pendolando fra qui e l'altra parte del mondo, guardando all'emigrazione come ad un'opportunità e non una condanna, un rinnovamento culturale e un arricchimento, al punto da consigliare ai conterranei di ricominciare ad emigrare e a mettere il naso fuori di casa per trovare nuovi stimoli e progetti di vita senza i quali ci si abbruttisce. "Se uscissero per qualche stagione i Trentini non solo ricaverebbero stimoli nuovi, ma apprezzerebbero anche di più, e difenderebbero con più convinzione ciò che hanno a casa, ne sarebbero più fieri, si accorgerebbero che è loro, se non la distruggono, la terra più bella del mondo(**)".

E dopo aver girato il mondo per tutta la vita, Cesarino Fava è morto a Malé, in Val di Sole, nella stessa stanza dove era nato, e lo hanno sepolto pochi metri lontano, in un piccolo cimitero dal quale può vedere le pendici del suo Brenta.

* fonte: quotidiano "IL TRENTINO" 23 aprile 2008
** Franco de Battaglia, quotidiano "IL TRENTINO" 24 aprile 2008

lunedì 21 aprile 2008

Una voce dal Brenta

Anch'io riscrivo la storia. La ricopio, la ripeto, la duplico. Che non venga disattesa, persa, scordata.

franco_bonatta

Matteo Brunetti, Franco Bonatta e Lee Palser, aviatore americano di New York salvato dai partigiani. (fonte: rivista ufficiale dell'ANPI "PATRIA INDIPENDENTE")

LA PACE, UN IMPEGNO PERMANENTE
di Lionello Bertoldi, presidente Comitato Provinciale A.N.P.I. Bolzano, comparso sulla rivista ufficiale dell'ANPI "PATRIA INDIPENDENTE",  del 21 settembre 2003

"Abbarbicati come ostriche alle rocce del Brenta, i partigiani della missione Vital trasmettevano dal 5 agosto 1944 con una piccola radio, al comando inglese di Bari,tutte le notizie militari, che le staffette portavano lassù assieme alle pesantissime batterie per la radio:un treno munizioni a Mezzolombardo, l’oro della Banca d’Italia a Fortezza, Himmler in gran segreto a Bolzano.

Ma chi erano quelli della missione Vital? Il radiotelegrafista Matteo Brunetti, nome di battaglia Bruno, dopo l’8 settembre 1943 è a Bari e, tramite Francesco Ferrazzi, entra in contatto con gli inglesi assieme al suo compagno di S.Giustina di Belluno Angelo Tres. Da Arco nel Trentino, Francesco ha passato infatti le linee per raggiungere a Bari gli alleati. Per i tre un rapido corso di paracadutismo con i francesi. Dopo diversi inutili tentativi, un aereo inglese farà scendere Bruno, Angelo e Francesco sulla riva sinistra del Piave vicino a Moriago. È la notte del 5 marzo 1944.

Sono previste due missioni radio. Sistemata la missione Fanny nel Bellunese, a Bruno tocca trasferire la Vital nel Trentino o a Bolzano. Il contatto è una donna Da Pont Lenae, tramite il Comitato di Liberazione di Padova,  Bezzi, ossia Senio Visentin, a Trento. L’appuntamento con Bezzi è a Trento, in una strada periferica, per il 23 luglio alle ore14,30. Il viaggio a bordo di un camioncino. Ivo, l’autista, nasconderà la pericolosa valigia con la radio nel sacco della carbonella. Tra Feltre e Trento 5 posti di blocco. L’arrivo a Trento è solo dopo le 15. Non c’è giustamente nessuno e tutto è da rifare. Affidata la pericolosa valigia ad una ignara signora in quella strada, Bruno ritorna a Belluno ed è costretto a una nuova trafila. Contatta la signorina Lena che contatta il CLN di Padova che contatta Bezzi. Sette giorni dopo in bicicletta a Trento. Qualcuno lo sistema in un appartamento vuoto. Recuperata la valigia presso l’ignara sorridente signora, a Bruno viene fissato appuntamento il 4 agosto con una staffetta. Una graziosa signorina, dirà Bruno. È Nella Lilly Mascagni. Lo accompagnerà in trenino sino a Zambana, dove li raggiungerà in bicicletta Corsi, Andrea Mascagni. Assieme in funivia a Fai e poi a piedi a Molveno.

L’appuntamento è con Marco, Enrico Pedrotti il fotografo, che a Molveno ha casa e famiglia. È l’incontro dei partigiani bolzanini. Il giorno dopo, guidati da Marco, in marcia per il massiccio del Brenta, per sistemare in un piccolo anfratto la radio e il radiotelegrafista.

Il cielo è solcato dai bombardieri americani e spara l’antiaerea, la Flack. Un quadrimotore si schianta sulla Paganella. Un candido ombrello scende poco lontano da loro. Marco decide per tutti: Hallò friendes e raccoglie un aviatore americano in preda allo schock, ma incolume. È Lee Palser di NewYork, ha 23 anni. Il massiccio del Brenta incombe sul lago di Molveno. L’anfratto è un piccolo buco che deve accogliere anche Lee e, distesa l’antenna di rame lunga 25 metri, la radiotrasmette la notizia. «Vital deve trasmettere notizie militari, non raccogliere aviatori è la risposta».

Lee Palser rimarrà con Bruno lassù e arriveranno novembre e dicembre 1944, senza poter accendere un fuoco, senza qualcosa di caldo,sempre trasmettendo. In basso a Molveno, Marco e Corsi hanno predisposto per farli sopravvivere. Celestino Donini, Silvio Meneguzzi e Giovanni Menegazzi (cognato di Marco) saranno i loro angeli custodi di Molveno. Ore di salita in montagna con il cibo e le pesantissime batterie per la radio. Orientare le staffette con le notizie militari. Saranno questi i loro compiti principali.

In Val di Non opera la formazione partigiana Fabio Filzi. Il suo comandante Avio, Luigi Emer, dispone che Delfo raggiunga la Vital e vi rimanga. Così il giovanissimo partigiano Franco Bonatta, futuro ingegnere bolzanino, passerà molti giorni sulle rocce del Brenta con Bruno e l’americano Lee Palser. La Vital continuerà a trasmettere sino al 21dicembre 1944, quando un guasto irreparabile la renderà muta. Solo la speranza della pace e della libertà sosterrà quegli uomini. «La libertà Lee, quella indicata dalla tua statua a New York, spazzeremo via i fascisti e i nazisti e sarà la pace Lee, quella che riusciremo a costruire anche in Europa, dove tutte le nazioni ripudieranno la guerra».

Abbandonato il Brenta, Bruno riprenderà la sua azione partigiana, scendendo a Belluno in bicicletta. È il Natale del 1944. Marco e i suoi amici nasconderanno l’americano Lee Palser a Molveno fino alla Liberazione, che arriverà quel 25 aprile 1945".

DA DOCUMENTI ANPI, i protagonisti: Nella Lilly Mascagni: arrestata, torturata e richiusa nel Lager di Bolzano;  Delfo, Franco Bonatta: partigiano sino alla Liberazione; Marco, Enrico Pedrotti: arrestato e portato nel Lager di Bolzano; Avio, Luigi Emer:catturato ferito portato nel Lager di Bolzano; Bezzi, Senio Visentin: arrestato e portato nel Lager di Bolzano; Corsi, Andrea Mascagni: partigiano sino alla Liberazione.

domenica 20 aprile 2008

La capriola

IMG_1175ritaglio3-viFemmina di capriolo

Non la capriola di Mastella, ma una femmina di capriolo: era un pezzo che girava la voce, pareva una leggenda metropolitana, invece è comparsa la foto sul giornale e le associazioni animaliste confermano: vive da più di un anno in centro città, su un'isola di uno dei 3 fiumi cittadini, a pochi passi dal traffico, dalla gente, dal via vai delle biciclette della ciclabile.

Pare stia benone, ha quel che le serve per nutrirsi, per bere, è al riparo dai predatori, ogni tanto attraversa il braccio di fiume e se ne va a spasso per poi tornarsene a casa. I caprioli non sono animali sociali, amano la solitudine, quindi non le mancherà la compagnia dei suoi simili.

L'ufficio caccia e pesca della Provincia e i volontari del CRAB, associazione animalista cittadina, conoscono la storia da mesi e si sono interrogati se non fosse meglio catturarla e spostarla, ma non è facile avvicinarla, sedarla con dardo di anestetico è pericoloso perché potrebbe spaventarsi, allontanarsi verso il fiume e annegare. La soluzione migliore è lasciarla in pace.

Bolzano è circondata di monti e di boschi che arrivano fino in città, non è il primo capriolo che scende da San Genesio, dal Virgolo o dal Renon fino in centro ma è la prima che l'ha eletto a residenza stabile :). I bolzanini l'hanno subito adottata come mascotte.

Quello che mi preme evidenziare, se a qualche furbone fosse sfuggito, è questo: "Non fatevi venire strane idee e non andate a stanarlo sull'isolotto" avvisa Calissoni del CRAB, "perché è sorvegliato e protetto. Se qualcuno gli farà del male ne risponderà alle forze dell'ordine".

La caccia in aree protette è reato penale, ci starei attenta.

mercoledì 16 aprile 2008

Caccia all'orso

Segnalo, desolata, questo post di Bersntol. Contiene una serie di link. Sgradevoli, molto sgradevoli.

JJ3

Brown_bear_s_3 Foto l'Adige

Il terzogenito di Jurka, JJ3, ha fatto la fine di suo fratello Bruno, ucciso in Baviera l'anno scorso: abbattuto la sera del 14 aprile nei Grigioni. Il cumunicato svizzero recita: «L'orso selvatico era ormai diventato un pericolo per le persone si spingeva infatti sistematicamente fino ai centri abitati alla ricerca di cibo tra bidoni e cassonetti della spazzatura e non si lasciava più intimorire dalle ripetute azioni di dissuasione volte ad allontanarlo dai paesi. Nell'autunno del 2007 e nelle ultime settimane, dopo il suo risveglio dal letargo, aveva attirato l'attenzione per le sue incursioni nei centri abitati della vasta area compresa tra Lenzerheide, la Valle dell'Albula e Savognin, rendendosi protagonista anche di incontri ravvicinati con le persone». Catturarlo e rinchiuderlo non era, infatti, ritenuto conforme alle esigenze della specie.

In compenso Jurka, da due settimane è stata tolta dall'angusto recinto di San Romedio per essere ricoverata al Casteller, sopra Trento, in un'area di 8 mila metri quadrati (√8000=89,44272, nemmeno 90 metri per 90), circondata da un reticolato elettrificato. Dotato di tana in cemento e di laghetto per fare il bagno.

Dallo studio di fattibilità del progetto Life Ursus a cura del parco Adamello Brenta: "Questo mammifero si muove su superfici enormi (una femmina rilasciata in Austria ha occupato in un solo anno un’area di 4730 Kmq) e vive a densità molto basse; per questo l’area necessaria a sostenere una popolazione è vastissima e deve comprendere almeno 2000 Kmq di ambienti idonei [...]" altro che 90*90.

Lo studio di fattibilità prosegue così: "deve comprendere almeno 2000 Kmq di ambienti idonei e non disturbati, mentre la superficie del Parco Adamello Brenta è di soli 619 Kmq. È stata perciò presa in considerazione un’area di 6500 Kmq - molto più estesa del territorio del Parco e superiore anche alla superficie dell’intera provincia di Trento - che comprende parte delle province di Trento, Bolzano, Sondrio, Brescia e Verona."

Io lo leggo così: gli orsi nel parco non ci stanno? Dov'è il problema, intorno c'e' tanto spazio, l'Italia è grande, il mondo ancor di più, sconfineranno. Infatti.

martedì 15 aprile 2008

L'uomo di nuvole e lana

Fabrizio Torchio, sul quotidiano l'Adige di venerdì 28 marzo, racconta di una strana persona e di un libro che pare molto interessante, difficile da trovare ma che andrò a cercare quest'estate, a Caderzone, nelle Giudicarie trentine.

Ecco l'articolo:

"Il volume «L'uomo di nuvole e lana», la storia di Rizzieri e Lorenzo

L'uomo di nuvole e lana è il primo volume del Museo della malga di Caderzone, allestito con la collezione dell'autore del volume, Gianluigi Rocca, e la lodevole iniziativa del sindaco Maurizio Polla. Il volume, nella «collana delle pasture» (215 pagine, moltissime fotografie), è, al tempo stesso, il racconto vivo di vite solitarie, quelle dei pastori di Valandro, sopra Stenico, una denuncia della nostra indifferenza nei confronti di una tradizione emarginata, la flebile speranza di «un avvenire che non sia solo rinuncia e abbandono».

Lorenzo, il pastore di Kamauz, «ha diviso la montagna con il vecchio Rizzieri, che da quando è mancato ha continuato a monticare in solitudine», scrive Rocca. «Le problematiche oggettive a cui è andato incontro durante le ultime stagioni dell'Alpe, soprattutto per le assidue e incessanti aggressioni subite a causa degli orsi, gli hanno procurato un travaglio non indifferente costringendolo ad abbandonare definitivamente questi pascoli». «La vita tra i monti - è l'amara constatazione di Gianluigi Rocca - è un destino ormai scritto sulla soglia di una prossima, definitiva, estinzione».

VALANDRO, L'ULTIMO PASTORE SE NE VA

Rizzieri, l'ultimo postaròl , nel primo giorno sull'alpe annodava due vipere alle croci in ferro che lungo l'erta annunciano il pascolo. Se ne è andato per sempre qualche anno fa, dopo una vita di fatiche su e giù da Valandro, dalle «schiene» verdi del Ghirlo con gli asini e le pecore. Lorenzo di Kamauz, un altro «custode» di quel pascolo d'altura duro ma anche un po' magico, aveva preso il suo posto. «Ma quest'anno non tornerà», racconta Gianluigi Rocca pittore e pastore, poeta e docente all'Accademia di Brera, ma che nelle malghe del Brenta, e dell'Adamello, ha lavorato con passione per oltre vent'anni. Di Rizzieri e di Lorenzo, Rocca racconta la storia in L'uomo di nuvole e lana, straordinario libro-testimonianza che è - spiega egli stesso - «un racconto per immagini e poesia lungo un percorso doloroso e sincero di semplici vite, di uomini soli schiacciati nelle problematiche di una emarginata condizione che tra le montagne è solitudine e incontrollabile mesto destino».

A molti, quelle di Rocca sono sembrate pagine intrise di tristezza, ma quelle immagini di solitudine scandiscono una realtà: settimane al pascolo come «un aspro calvario». La malga è crollata tanti anni fa, e la sera gli uomini si stringono in un container portato su con l'elicottero. Prima, Rizzieri non aveva nemmeno quello: viveva in un riparo che si era costruito con le assi e i sassi lasciati dalla slavina. «Era dovuto un riparo, che l'affittanza del monte era alta di prezzo e doveva esser compreso», scrive Rocca. «Ma dalle panche di chi siede a palazzo ti hanno risposto con garbo che c'era solo un container. Una scatola di plastica e ferro per la tua estate. Una vergogna, nel santuario prezioso della natura di questo monte... nel cuore di un parco», Chiedevano invano una minuscola casa di legno. «Se non altro per la dignità denigrata di uomini che stanno alla montagna da soli. Lontano da tutto e da tutti senza aspettare nessuno».

E poi l'orso: Non ho niente contro, ma l'estate scorsa a Valandro ce n'erano otto. Sono venuti gli svizzeri con i cani, poi gli hanno sparato con l'elicottero. Ma l'orso sta davanti al recinto e non ha paura di niente. Sembra che venga dal nulla: non c'è una pianta lassù, ma quando arriva non te ne accorgi. Vedi, una volta gli sparavano, oggi risarciscono i danni. Ma al pastore quei soldi non interessano, perché lui vuole solo le sue pecore». C'è un distacco forte, in quelle pagine, fra l'alpe e noi quaggiù: «Non c'è sguardo rispettoso ai pastori», scrive Rocca. «Tanto vivono da soli e poi si sanno arrangiare, che gli va bene ogni luogo».

fonte: quotidiano l'Adige, 28 marzo 2008, pag.46

lunedì 14 aprile 2008

giovedì 10 aprile 2008

Mobilità alternativa: si potrebbe

..se anche il governo non remasse contro.

Ex ferrovia Dobbiaco-Cortina, diventata una (splendida) ciclabile. Ora ci si ripensa.. forse

Interessante articolo di Luigi Casanova sull'ultimo numero di "Questo Trentino" sulla mobilità alternativa nelle Alpi, con un paio di esempi virtuosi che dimostrano che qualcosa si potrebbe fare senza far troppi danni ambientali e altrettanti esempi di difficoltà e miopie pubbliche e private.

"Nel bellunese il sindaco di Calalzo, sostenuto da alcuni suoi colleghi, sta tentando di chiedere il potenziamento della linea ferroviaria Belluno- Calalzo, per portarla fino a Cortina, poi in Val Pusteria e - perché no? - verso est, in direzione della linea Tolmezzo-Tarvisio. La risposta della Regione e della Confindustria locale è stata esplicita: la ferrovia si cancella e si farà invece il collegamento autostradale A27- A23, un progetto folle, per costi ambientali, economici e per logica."

La Trento-Malé a Daolasa. Entra quasi in cucina di un paio di vecchie case.

Sempre che per potenziare e allungare non si faccia il bordello fatto con la Trento-Malé, dove i danni ambientali e le spese sono decisamente più dei vantaggi. Discorsone, quest'ultimo!

mercoledì 9 aprile 2008

NA VOIA MATA

NA VOIA MATA
Doménega d'istà. Dopodisnar.
No gh'è `n pél d'ària gnanca se i lo paga.
Le strade vòide. 'N sol che te mbriaga.
E 'ndòs na voia de lassàrse nar.

Na voia mata de butarse `n tera
e de sgolar lontan sora le zese...
- Che bèi quei anzoleti dele ciése
che l'par che i sgola sempre e no l'è vera! -

Na voia mata de tornar a casa
e de star chi a dormir sora le prede...
- Che bèi quei do pizzoni che se basa
sul coèrt che no se vede e che se vede! -

Na voia de silenzi e de gazèri,
de mili ròbe che no se pòl dir,
de butar via la testa coi peneri,
de tòrla su, de viver, de morir.

(da Aneghe Tàneghe, 1965)

NA RONDOLA SNIVADA
Ronzégno, la me casa, i primi passi.
Le pégore. I me véci. L'ortesèl.
Le rampeghine sui muréti bassi.
La vasca, la fontana, `l pessatèl...

Ricordi dolzi e grevi come i sassi
sul còr che bate a colpi de martèl,
quante matérie zó per la via Grassi
con quel balon de pèzza e `l caretèl

Quante matèrie su per quel'antana!
Quante storie de pòpi che ò sentì!
Tute le storie dela Valsugana.

Stòrie che sluse, che no è mai finì...
Ronzegno! Gh'è na róndola lontana
che ziga, e quela róndola son mi.

SEN TUTI PRESONERI
Sen tuti presoneri
de tut, del pan, del vin,
dei soldi, del’amor e del dolor...
Per questo stamatina
gò davèrt la gabiéta al lugherin.
(da Campanò, 1988)

FICO LE MAN ENTÉ LA TERA
Fico le man enté la tera
per meter zo na somenza.
No sò de còssa.
Nè se la buterà.
Ma ‘ntant soméno, òmeni, soméno!
(da Campanò, 1988)

Marco Pola, Roncegno (Valsugana) 1906 - Trento, 1991

Serendipity a ravanare nei blog dei vicini: grazie Bersntol che me l'hai ricordato

Monografia a cura della Provincia Autonoma di Trento sul numero del giugno 2006 di PosterTrentino
Sito ufficiale di Marco Pola

martedì 8 aprile 2008

Qualcuno la vuole riscrivere

Qualcuno la vuole riscrivere.

Intanto qualcuno l'ha scritta:

Uomini e fatti del Gherlenda. La Resistenza nella Valsugana orientale e nel Bellunese. Edizione CROXARIE e Mosaico, Strigno/Borgo Valsugana (TN), 2005. Collana Progetto Memoria

Cognomi che conosco, posti che ho camminato, e non mi pare ci sia nulla da riscrivere.

Qui il .pdf da scaricare

Roccia di gridi

"Sarà la sede della Fondazione Vajont e si chiamerà “Roccia di gridi”, parafrasando Ungaretti. La sala rotante al primo piano avrà feritoie vista diga e vista Longarone. Nelle foto i primi bozzetti firmati dall'architetto Giorgio Pradella, figlio dell’ingegnere Carlo che progettò il ponte sul Vajont distrutto il 9 ottobre 1963"

VAJONT

(fonte: Il Centro)

"costituirà il “sigillo” dei percorsi della memoria, sui luoghi della sciagura del 1963, perché da esso risulterà possibile accedere propedeuticamente alla visita del Vajont dopo l’assunzione di una informazione molto emozionale attraverso soluzioni tecnologicamente innovative e di grande effetto sul visitatore."
(fonte: fondazione Vajont)

Lì è tutto molto emozionante, basta guardarsi attorno.

Intanto Erto muore, la gente se n'e andata, "non c'è il tabacchino, il giornalaio, la scuola, il fruttivendolo", le case risparmiate dall'onda crollano per conto proprio. Mi sfugge qualcosa?

lunedì 7 aprile 2008

Pericolo valanghe

Bollettino del traffico a cura della Provincia Autonoma di Bolzano, di oggi 7 aprile 2008:

"Strade di montagna alte e passi:

News Le gomme invernali sono necessarie.Per il passo Giovo consigliamo le catene. Il passo Gardena e il passo Sella sono CHIUSI per motivi di sicurezza.

San Pietro di Funes - Passo Erbe
Sul tratto "Russis Kreuz" - Passo delle Erbe CHIUSURA per pericolo valanghe. 
Comune di Vandoies
A Fundres CHIUSURA al traffico della Via Dun per pericolo valanghe."

E questa notte ha suonato ancora la sirena: vuol dire freddo, gelo in valle, pericolo per i fiori dei meleti. Avvisa i contadini che occorre l'irrigazione antigelo che, come spiega un documento della facoltà di agraria di Firenze:

"-  sviluppa l’energia interna dell’acqua (1 kcal/kg °C);
-  svolge il calore latente di congelamento (ca. 80 kcal/kg);
-  rimescola verticalmente l’aria;
-  -aumenta la conducibilità termica del terreno ed il suo potere di assorbimento-emissione;
-  aumenta l’umidità relativa dell’aria con possibilità di nebbia con conseguente aumento della radiazione da essa proveniente.

Il meccanismo nettamente prevalente è quello dello svolgimento del calore latente di congelamento;
la solidificazione avviene a 0 °C e tale temperatura si mantiene pressoché costante fino a quando c’è acqua da congelare; quindi l’acqua che cade sulle piante con un certo intervallo e che man mano congela funziona come accumulatore di calore.
Il ghiaccio riceverà il calore anticipato quando il bilancio termico è tornato attivo e cessa la pioggia; tale calore non viene fornito dalla vegetazione, ma dall’ambiente circostante."

Lo spettacolo che ne risulta è magico, come si può vedere qui sotto in una foto rubata a fotoarchiv.it 

e nelle numerose fotografie delle pagine seguenti.

Carlo Magno re di Francia

carlomagno

Passo Campo Carlo Magno in una cartolina dei primi del '900

Fino al 1909 passo Campo Carlo Magno, il valico che mette in comunicazione la Val di Sole con la Val Rendena e Madonna di Campiglio, si chiamava Moschera, o Campo. Campo probabilmente perché largo e pianeggiante, Moschera, ipotizza lo storico Quirino Bezzi, perché, proprio in quanto comodo e pianeggiante, zona di gran pascolo delle mucche, invaso dal letame e di conseguenza da nugoli di mosche.

Ma Carlo Magno, al quale è dedicato il passo, è davvero transitato di là come narra la leggenda? Secondo la “carta di Pellizzano”, una pergamena del 1446, custodita nell'archivio della parrocchia del paese solandro e copia di un'originale del 1429, nel 775 l'imperatore avrebbe attraversato la Val Camonica, il Passo del Tonale, avrebbe disceso la Val di Sole fino al torrente Meledrio per risalire alla Moschera, scendere in Rendena, abbattere un castello, fondare la chiesa di Santo Stefano di Carisolo, far fuori un po' di pagani e di ebrei per poi togliersi dalle scatole.

Lo stesso testo della pergamena lo troviamo all'interno della chiesa di Santo Stefano, trascritto in caratteri gotici, sotto l'affresco cinquecentesco di Simone Baschenis che rappresenta il passaggio dell'imperatore e compare, con trascurabili differenze, in altri due documenti quattrocenteschi trovati a San Giovanni di Cala e Bienno.

Questo lo stralcio della pergamena, tradotto in italiano, che racconta il passaggio di Carlo nella valle del Meledrio (Pala di Valiana) fino alla partenza dell'imperatore per altri lidi:

“[...] Detto  Carlo  attraversò  una certa  valle  chiamata  Valiana,  e raggiunse un monte detto Moschera,  inoltrandosi nella val Rendena e mandò a dire al più potente giudeo che doveva credere nella fede cattolica o consegnargli il castello.

Come il castellano udì l’inaspettata  intimazione,  fuggì  oltre  il  mare.  Il  giorno  dopo Carlo  distrusse il castello e ne  raggiunse un altro chiamato Pelugo, di cui era padrone Catanio, giudeo, che fu convertito alla fede in Cristo. Carlo abbatté il castello e vi fece edificare una chiesa in onore di San Zenone, e i medesimi sette vescovi concessero quaranta giorni di indulgenza ciascuno da  lucrarsi ogni giorno visitando la chiesa.
E vennero alla chiesa di Santo Stefano  e  vi  battezzarono  moltissima gente. [...]

Antonio Selerio ottenne per  la  chiesa  di  Santo  Stefano  la
grazia di mille e cinquecento anni di  indulgenza  ogni  domenica  prima d’ogni mese e per ogni  solennità, perché era stato per sette anni come paggio con re Carlo. Proprio colà  Carlo  terminò  di  convertire tutti i pagani e giudei e nella stessa chiesa  lasciò un  libro nel quale erano  contenute  tutte  le  imprese da  lui compiute  in  tutto  il mondo. Poco dopo si ritirò di lì con tutto il suo seguito e giunse in Blavia…

Graziadeo notaio di Bolbeno scrisse  la presente  copia nell’anno del S.N.G.C. 1446, indizione nona, il 19"

Alcuni studiosi riportano il fatto come storico, molti altri nutrono invece seri dubbi, non essendoci traccia di documenti storici sui quali basare questa ipotesi. Il Bezzi riporta in un suo articolo comparso sull'annuario della SAT del 1982 la sdegnata reazione dello storico Silvestro Valenti alla ridenominazione del passo:

"La denominazione Campo Carlo Magno, storicamente falsa, per vanità, capriccio, indifferenza e affarismo è passata nella nomenclatura postale austriaca, sulle guide, sulle carte topografiche locali e finalmente nell’Elenco Ufficiale Toponomastico e chi ha avuto ha avuto, e chi ga bu a bu in trentino, e ci a bu ci a bu in nones”.

Forse c'è un po' di vero sul quale è fiorita la leggenda, forse Carlo Magno non è mai passato da quelle parti ma qualche frangia del suo esercito durante le spedizioni contro i Longobardi, o chissà che altro esercito medievale ha attraversato quel valico: per cercare di fare un po' di luce sulla vicenda è nato il Progetto Carlo Magno che, come recita il sito di riferimento, "ha ottenuto il patrocinio della Provincia Autonoma di Trento, della Provincia di Brescia, della Regione Autonoma Trentino Alto Adige, del Comune di Brescia, del Comune di Carisolo" al quale hanno dato vita il Circolo culturale "Il Faggio Val Rendena" e la Pro Loco di Carisolo, che ha lo scopo di ricercare documenti o tracce che aiutino a capire se di storia o di leggenda si tratta.

domenica 6 aprile 2008

Donne della montagna

contadina3 B&W

Bauerin altoatesina

Le donne provenienti dalle regioni montane di Italia, Austria, Svizzera, Spagna, Germania e Liechtenstein, e riunite al Centro di Ecologia alpina del Monte Bondone (Trento) per il secondo convegno internazionale “matriarcato e montagna”, rivendicano il riconoscimento del loro ruolo per la conservazione e la trasmissione della memoria e delle tradizioni, per lo sviluppo sociale, economico e culturale delle comunità di montagna, con particolare attenzione ai valori identitari e ambientali.
Le donne rivendicano la necessità della loro presenza nei centri e momenti decisionali a tutti i livelli ed esprimono un forte richiamo alla società e ai responsabili dei governi locali, regionali, nazionali e comunitari affinchè vengano definite delle specifiche politiche d’azione, fondate sulla valorizzazione e la presenza del ruolo femminile a tutti i livelli, con le seguenti motivazioni:

1. Le donne non solo perpetuano la vita, ma sono anche riuscite a sopravvivere in ambienti limite, utilizzando le risorse della natura, conservando e curando il territorio nello stesso tempo. Senza rinunciare alla magia e alla poesia.
2. Dove le donne se ne vanno, la montagna muore. Ancora oggi la maggior parte delle iniziative di microeconomia e economia identitaria sono portate avanti dalle donne: dove rimangono la montagna non muore, ma intraprende uno sviluppo diverso, in sintonia con la terra, cogliendo e valorizzando l’opportunità che questa offre agli esseri umani.
3. Le donne sono uno degli elementi più dinamici della microeconomia alpina. Senza rinunciare all’innovazione e alla rivendicazione di diritti sacrosanti, non si sono dimenticate delle proprie origini e sono riuscite a conservare la memoria della tradizione.
4. Intendono tutelare il patrimonio culturale delle loro comunità di montagna attraverso l’attenzione e il sostegno a tutte quelle azioni che si fondano sui valori identitari e sulla formazione permanente, quali formidabili leve per uno sviluppo che soddisfi i bisogni culturali, sociali ed economici per guidare le comunità di montagna con pari dignità con le comunità urbane e di pianura.
5. Intendono essere garanti di un rapporto equilibrato fra sviluppo e tutela del territorio inteso nei suoi valori ambientali, storici, architettonici, paesaggistici, culturali e spirituali, al fine di garantire la permanenza delle comunità alpine all’interno di ecosistemi naturali, ricchi di spazi vitali per gli animali, le piante etutte le altre componenti della natura.

Risoluzione dell’assemblea plenaria delle Donne della montagna Viote del monte Bondone, 14 dicembre 1997 - Convegno "Matriarcato e montagna"
fonte: rivista semestrale "L’Alpe; n° 4", ed. Priuli & Verlucca

sabato 5 aprile 2008

Sciare sulle ringhiere

Poca neve? E dov'è il problema? Basta la scala di casa o una ringhiera. Tom Wallisch e amici:

mercoledì 2 aprile 2008

Riccardo Zandonai

Autunno fra i monti (Sarntal)

"- Son cinque vero, queste tue impressioni?
- Cinque. Ed esauriscono, nel mio concetto, il quadro della primavera che ho voluto affrontare. Adesso però sono attrato da un più vasto disegno...
- Allora è segno che lo attuerai. Zandonai non parla invano: tutto quel che dice, fa. Almeno sino ad oggi...
- E se mi guastassi col crescere? ... Dicevo che ho una certa intenzione di allargare lo sguardo nel tempo e di tradurre in musica le mie impressioni dell'estate, dell'autunno, dell'inverno, dopo quelle della primavera. Le "quattro stagioni" insomma...
- Come Haydn... 
- Be' non facciamo paragoni! Ma t'immagini che tentazione per un artista, montanaro per giunta, esprimere la fragorosa e tremenda imponenza della valanga? oppure il silenzio del ghiacciaio?
- Musicare il silenzio?
- Ma certamente: il silenzio del ghiacciaio è fatto di poesia profonda e penetrante, e la poesia è musica [...]"

Franco Ranieri, Giornale d'Italia, 28 febbraio 1915

Riccardo Zandonai, "Primavera in Val di Sole" composta da: Alba triste, Nel bosco, Il ruscello, L'eco, Sciame di farfalle. Insieme a "Autunno fra i monti" fa parte delle Impressioni Sinfoniche "Terra nativa"

(da non crederci, non ho una bella foto mia della primavera in Val di Sole!)

Cent'anni

cogolo

Cógolo, val di Peio, 1908. Foto Unterveger, Trento (sullo sfondo il Monte Vioz e il Taviela )

rabbi Bagni di Rabbi, 1908. Foto Unterveger, Trento

Fonte: La Val, Quaderno n.2, 1978 - Centro Studi Val di Sole Editore