giovedì 30 agosto 2007

Confronti


Gente a malga Panciana, Marilleva (TN), primi anni '70

Gente a Malga Panciana, Marilleva (TN), primi anni 2000

mercoledì 29 agosto 2007

Merenda

Henriette d’Angeville (fonte Early Alpine Images)


Lista della spesa consegnata nel 1838 dal capo delle guide a Henriette d’Angeville per la prima vera scalata di una donna al Monte Bianco:


«Due cosciotti di montone. Due lombate di vitello. Ventiquattro polli arrosto. Sei pani di tre o quattro libbre ciascuno. Diciotto bottiglie di vino di Saint-Jean. Una di acquavite di Cognac. Una di aceto. Una di decotto di capelvenere. Un barilotto di vino comune per lo spuntino dei portatori ai Grands Mulets. Dodici limoni. Tre libbre di zucchero. Tre libbre di cioccolato. Tre libbre di prugne. Un buon pranzo completo e molto nutriente al ritorno dell’ascensione.

- É tutto?

- Sì. Per noi. Ora, se volete qualcosa di particolare per voi, bisognerà aggiungerla a questa lista.

Scrissi: una crema (del tipo detto blanc-manger). Una borraccia di orzata. Una limonata. Una pentola di brodo di pollo.

Come si vede, le mie provviste personali non erano particolarmente sostanziose.»


Fonte:

Henriette d’Angeville, Io in cima al monte Bianco, Torino, Vivalda 1989 trad. Sergio Atzeni, fuori catalogo. Ristampato in una nuova edizione, sempre da Vivalda, nel 2000 col titolo: La mia scalata al Monte Bianco - 1838

martedì 28 agosto 2007

Sulla traccia di Nives

Scrittore, forte arrampicatore, uomo dai mille lavori e dai precedenti politici burrascosi, studioso della Bibbia che traduce dall'ebraico antico, Erri De Luca mi era sembrato un personaggio interessante ma finora mi ero limitata a leggere qualche suo articolo o intervista.


Quando, nel maggio scorso, Nives Meroi e Romano Benet hanno conquistato l'Everest, senza ossigeno e senza portatori, mi sono decisa a comprare il suo libro/conversazione con la grande alpinista bergamasco/tarvisiana e mal me ne incolse. Ho trovato "Sulla traccia di Nives" fastidioso, irritante, retorico, autoreferenziale. Di Nives Meroi in questo libro ce ne trovo poca, e trovo anche poca sostanza: Erri si guarda scrivere e si piace molto. Nives è un pretesto per filosofeggiare e parlare di sé, per fare barocchismi letterari, per girare, con linguaggio aulico, attorno al suo ombelico.


Mi e' quasi parso di trovare la concreta Meroi d'accordo con me, quando gli dice: "te ne inventi di cose". Ad essere sincera ogni tanto qualcosa di bello l'ho trovato: le citazioni dall'antico testamento e qualche sporadico intervento di Nives. Forse ho sbagliato libro, ma non mi è rimasta molta voglia di leggere qualcos'altro di suo.


lunedì 27 agosto 2007

La prima donna in Bianco

Marie Paradis

Chissà cosa pensava Marie Paradis, cameriera in una locanda di Chamonix, quando accettò di seguire quel gruppetto di guide sul Monte Bianco, meta riservata a quei tempi a pochi coraggiosi. Loro cercavano un po' di pubblicità, lei solo qualche mancia in più dai suoi clienti, non sapeva che sarebbe entrata nella storia.


Era una discreta camminatrice ma senza nessuna esperienza alpinistica e non era abituata alla quota: arrivata con grande fatica al Gran Plateau non ce la faceva più. Proseguì, come racconta lei stessa con ironia, un po' a spinte un po' trascinata, sbuffando come una gallina accaldata; ai Rochers Rouges era stravolta, la stanchezza e la quota si facevano sentire: "Sbattetemi in un crepaccio e andate dove volete". Niente da fare, per i suoi accompagnatori vetta doveva essere e "a furia di tirarmi e portarmi", il 14 luglio 1808 vetta fu.


Alpinisticamente la sua salita non è considerata un'impresa, non si può dire che Marie abbia scalato il Monte Bianco, ce l'hanno portata su di peso più morta che viva, ma arrivare a 4.810 metri senza allenamento alla quota e con i materiali di allora non è comunque cosa di poco conto. E quando Henriette d'Angeville, pioniera dell'alpinismo femminile, giunse in cima al Monte Bianco nel 1838, non fu la prima donna a violarne la vetta: una semplice cameriera di Chamonix ci era arrivata 30 anni prima di lei.

domenica 26 agosto 2007

Il giro del mondo in 1380 giorni

Nonno Gigi

Cecco Beppe non ci mise molto a capire che i soldati trentini sul fronte italiano sarebbero stati poco opportuni. Di madrelingua italiana, molti irredentisti o quantomeno filoitaliani, si sarebbero trovati a combattere contro quella che consideravano la loro madrepatria.


La mobilitazione generale della popolazione maschile fra i 20 e i 42 anni (dopo il 1915 fino ai 50) fece sì che dalle valli del Trentino partissero poco meno di 60.000 uomini, più del 15% della popolazione, che finirono per la maggior parte ben lontani dall'Italia, sul fronte orientale fra i Carpazi e la Galizia, insieme ai soldati delle altre province italiane dell'impero austroungarico.


Circa 12.000 non tornarono più e già nel secondo anno di guerra altri 12.000 erano prigionieri disseminati in vari campi di concentramento, a cercare di sopravvivere alla fame e al freddo delle steppe russe, dimenticati da Vienna che di loro si fidava ben poco.


Come primo intervento l'Italia, alleata dell'Impero Russo, riuscì ad ottenere per loro la condizione di "soldati non ostili" facilitando loro la sopravvivenza, quindi, nel 1916 il governo creò una Commissione, composta da 20 ufficiali, che partì per Pietrogrado con il compito di trovare, raccogliere e riportare in Italia quanti più prigionieri possibile.


Già il 24 settembre del 1916 un primo gruppo di quasi 1700 prigionieri venne imbarcato su una nave diretta, via Polo Nord, in Inghilterra. Seguirono altre 2 partenze e a fine novembre circa 4000 soldati erano rientrati in Italia, dove li aspettava il riconoscimento della cittadinanza italiana e un campo di raccolta: le loro case erano ancora in territorio nemico.


All'inizio del 1917 l'inverno russo, le vicende della guerra e la Rivoluzione di febbraio complicarono enormemente le cose. Il maggiore Cosma Manera si trovò con 3 battaglioni da far rientrare e nessuna collaborazione russa né mezzi di trasporto. Suddivise i suoi 2000 uomini in piccoli gruppi che, alla spicciolata, salirono sui pochi treni che ancora viaggiavano attraverso la Siberia. In capo a due mesi, con percorsi diversi, si ritrovarono tutti a Vladivostok, dove l'ufficiale sperava di trovare modo di imbarcarli.


Purtroppo a Vladivostok la speranza andò delusa: in città, affollata di truppe alleate, non c'era né modo di acquartierare gli ex prigionieri né navi dirette verso l'Europa. Manera prese a questo punto una decisione coraggiosa: raggiungere la concessione di Tientsin, che l'Italia aveva ottenuto dalla Cina come riconoscimento per il suo intervento durante la rivolta dei Boxer.


Il viaggio fu lunghissimo, le strade pessime, i mezzi di trasporto malsicuri, ma nel marzo del 1918 Manera e i suoi uomini erano a destinazione. Da qui, gli uomini che non entrarono a far parte del "Battaglione Irredenti" impiegato in Siberia nella lotta antibolscevica, vennero, per vie diverse, rimpatriati.


Un gruppo consistente via nave fino alla costa occidentale degli Stati Uniti, quindi in treno a New York, di nuovo in nave fino a Genova ad attendere la fine del conflitto e il ritiro degli austriaci dal Trentino.


Il mio nonno rientrò a casa nel 1919, 4 anni dopo la partenza e dopo aver fatto l'intero giro del mondo.

sabato 25 agosto 2007

La Fracassina

Segheria alla veneziana in Val d'Ultimo

Quando alla malga il burro stentava a formarsi, i pastori cominciavano a sospettare che stesse arrivando la Fracassina. E sbagliavano di rado. Anziana e brutta come la peste, la Fracassina aveva fama di essere una strega. "Stèntel a vègner el botér? Lasséme far a mi*" Un paio di colpi alla zangola ed il burro era fatto. Ben volentieri i pastori le offrivano un piatto di "polenta e lat" per togliersela dai piedi.

Abitava alla "Sega vecia" dove faceva funzionare un piccolo mulino. Nel 1935 la casa dei Gosetti andò a fuoco. Accorsero pompieri e paesani che misero in salvo bestiame, masserizie e quant'altro poterono. Approfittando della confusione qualcuno si fregò gran parte della biancheria di casa, rimasta incustodita.

Grande scandalo dei presenti e fra i commenti fu molto risentito quello della Fracassina: augurava alla mano ladra di restare impigliata negli ingranaggi del mulino.

Puntualmente, pochi giorni dopo chi ci rimise una mano nel mulino fu proprio lei, la Fracassina: la sua stregoneria le si era rivoltata contro.

(fonte: diario di Pietro)

*Il burro fatica a venire? Lasciate fare a me.


venerdì 24 agosto 2007

Quando i buoi sono scappati


Il "rifugio" del Touring sull'Alpe di Siusi

"I 1800 posti letto sono il massimo tollerabile, basta speculazioni!" parola di Hartmann Reichhalter, giovane sindaco di Castelrotto, riguardo all'edilizia privata sull'Alpe di Siusi. E per dimostrare che fa sul serio ha ordinato, come primo atto, la demolizione di alcune baite abusive cresciute come funghi nei prati dell'Alpe, sollevando ampia eco sulla stampa locale.

Ma non si ferma qui: il comune, primo in Alto Adige, ha deciso di applicare la nuova legge urbanistica provinciale: non verranno più concesse licenze edilizie per nuovi alberghi né venduti alloggi a non residenti a Castelrotto, Siusi e nelle frazioni "senza deroghe per nessuno. […] Troppi alloggi restano vuoti per mesi. Chi ama soggiornare fra le nostre montagne ha a disposizione una vasta scelta di alberghi e pensioni".

Nessuna nuova costruzione, quindi, ma permessi di ampliamento fino al raddoppio di cubatura per quegli alberghi che finora non hanno approfittato dell'opportunità concessa dal piano paesaggistico del 1982. Ampliamenti concessi per inserire "strutture benessere" e per ampliare le stanze. Ogni albergo potrà aggiungere al massimo 5 nuove camere, non di più.

Peccato che la corsa agli ultimi raddoppi abbia trasformato l'alpe in un cantiere: vicino alla stazione a monte della cabinovia c'è, per esempio, il grande cantiere del nuovo Albergo Dialer (l'ex "rifugio" del Touring Club che dovrebbe essere demolito per spostarsi, dall'attuale posizione nei pressi del passo Duron, in una zona più centrale), e ne stanno approfittando anche diversi proprietari dei vecchi fienili in legno che, previo abbattimento delle vecchie baite, hanno ottenuto l'autorizzazione ad un "modesto ampliamento", 30-40 metri quadrati.

Assolutamente condivisibile l'atteggiamento del comune di Castelrotto, che segue al provvedimento di chiusura della strada, ma passeggiando per l'Alpe e guardandosi in giro, fra brutti alberghi e ampliamenti orribili, mi chiedo se non sia ormai troppo tardi.

Fonte: quotidiano "Alto Adige" del 24.08.07


lunedì 20 agosto 2007

La Fradusta: un ghiacciaio morente

Lago e ghiacciaio della Fradusta

Situato sulle Pale di San Martino è l'unico ghiacciaio trentino con la fronte in un laghetto proglaciale e uno dei pochi delle Dolomiti, ha una dimensione di 18,6 ettari (dati del 1999) e sta velocemente riducendosi. Secondo le rilevazioni del Catasto dei Ghiacciai Italiani nel 1962 aveva un'estensione di 65 ettari, e 100 anni prima di 162. Alimentato dalle sole precipitazioni nevose negli ultimi inverni ha risentito parecchio della scarsa nevosità: secondo il Comitato Glaciologico Italiano dal 1991 al 1999 la fronte del ghiacciaio è arretrata di 48 metri e fra il 2002 e il 2003 si è spezzato in due parti.


Il lago si raggiunge in poco più di un'ora di facile cammino dal Rifugio Pedrotti alla Rosetta e la cima della Fradusta in circa 2 ore e mezza. L'escursione è abbastanza facile, molto bella e panoramica.


Vicino al bivacco Minanzio ci sono i resti di un aereo militare statunitense precipitato nel luglio del 1957 dopo l'impatto con la parete sud; una lapide ricorda i nomi e i gradi degli 11 militari americani che persero la vita nell'incidente.

domenica 19 agosto 2007

Il primo traforo alpino

Il "buco di Viso" dal lato francese

Pellami, stoffe, vino, riso e soprattutto il preziosissimo sale proveniente dai bacini dell'Etang de Berre: questi erano i prodotti che da secoli si commerciavano attraverso i passi alpini occidentali, controllati dai Savoia e dal regno di Francia. Il marchesato di Saluzzo era un piccolo stato chiuso con pochi possibili sbocchi verso l'esterno e strade difficilmente percorribili per buona parte dell'anno. Nel 1474 Ludovico II, marchese di Saluzzo, ebbe l'idea di scavare un traforo attraverso le pendici del Monviso: avrebbe prolungato la stagione dei commerci del suo piccolo stato con la Provenza, facilitando il transito alle carovane di muli che fino a quel momento erano costrette ad affrontare il passo delle Traversette, spesso innevato fino a tarda stagione e piuttosto pericoloso, o a pagare costosi dazi ai francesi per il transito sul Monginevro.


Nel 1478 Ludovico II firmò un trattato con il conte di Provenza Renato d'Angiò nel quale si stabiliva di richiedere un pedaggio per il transito, e nell'estate del 1479 iniziarono i lavori.


Facile immaginare le difficoltà incontrate durante lo scavo, a

2882 metri di quota, con le attrezzature disponibili a quei tempi, usando "ferro, fuoco e aceto"; di fatto a mano.


Inaugurata nel 1481, la "galleria del sale" rimase agibile con alterne vicende dovute a crolli, riaperture e nuove chiusure per motivi strategici o commerciali (concorrenza con altri percorsi); venne utilizzata dagli eserciti del Re di Francia Francesco I quando scesero in Italia nel 1525 contro Carlo V e dallo stesso Ludovico II nel 1486 in fuga dal marchesato verso la Francia e, secondo alcuni storici, da Carlo VIII e Luigi XII.


Inagibile per più di 2 secoli, venne riattivata nel 1907 dalla neonata sezione del CAI, richiusa e riaperta nel 1973 grazie al contributo del Lyons Club di Torino e Saluzzo, infine nel 1998 definitivamente risistemata per l'interessamento del Rotary di Saluzzo che ha fatto collocare, accanto all'accesso dalla parte italiana, una tabella esplicativa che racconta la storia del "buco di Viso". Gli Enti locali si sono impegnati a mantenerla agibile con continui lavori di manutenzione, in particolare dalla parte francese, interessata da frequenti frane che ne ostruiscono l'entrata.


Sezione longitudinale del traforo


Attualmente la galleria è lunga 75 metri, si snoda in leggera salita verso la Francia, ed ha una luce che varia dai 3 metri nel punto più alto, ai 75 cm dello sbocco francese. Mentre l'ingresso dalla parte italiana è agevole, per uscire in Francia occorre togliere lo zaino e strisciare fuori come talpe stando attenti a non sbattere una craniata. E' raggiungibile con poco più di due ore di cammino dal Pian del Re (sorgenti del fiume Po): all'inizio dell'estate spesso la neve ne ostruisce il passaggio, è consigliabile informarsi sull'agibilità presso i rifugisti ed è necessario avere con sé una torcia elettrica.

martedì 14 agosto 2007

Vie e vicende in Dolomiti - 50 itinerari scelti e raccontati

Di Ivo Rabanser e Orietta Bonaldo.


Io non arrampico, o non ancora, non so, ma questo libro, comprato per un amico, forse me lo terrò io.


50 vie nelle Dolomiti, classiche o meno note, con la relativa descrizione tecnica, lo schema, una tabellina riassuntiva che comprende difficoltà, dislivello, tempistiche, date e nomi della prima salita e ripetizioni; nella relazione: chiodatura, materiale necessario, innumerevoli fotografie; ma quello che più mi piace, ogni via è preceduta da un racconto di uno dei due autori. Ricordi di alpinisti che li hanno preceduti, pensieri ed emozioni, vicende personali, riflessioni. Ogni via una storia, piacevole e ben scritta.


Ivo Rabanser, nato nel 1970, maestro d'arte e per qualche anno intagliatore del legno, guida alpina e, dal 1993 accademico del CAI, ha pubblicato in collaborazione con Dante Colli "Sassolungo, le imprese e gli alpinisti", vincitore del Cardo d'argento al premio ITAS 2004. Vive a Santa Cristina in val Gardena.

Orietta Berto, nata in pianura, nell'entroterra veneziano nel 1958, diplomata al liceo classico, analista informatica e lauretata in lingue orientali. Si avvicina alla montagna abbastanza tardi con lo scialpinismo. Arrampica dal 1987 ed è istruttrice della scuola d'alpinismo sel CAI di Mestre. Campionessa italaina di arrampicata su ghiaccio nel 2003, ha consegiuto ottimi risultati in diverse gare internazionali.

(fonte, risvolto di copertina)

martedì 7 agosto 2007

Gli Stoanerne Mandln di Sarentino e la strega Pachlerzottl


Cosa siano di preciso gli Stoanerne Mandln, ometti di pietra, non lo sa nessuno. Poterbbero essere segnavia posti dai pastori in un punto di passaggio delle transumanze oppure, e più probabilmente, resti di un luogo di culto precristiano. Sta di fatto che vengono citati negli atti del processo contro la strega Pachlerzottl, la scarmigliata, già nel 1540.

Già essere scarmigliate non è rassicurante, lo sappiamo bene io e mia sorella, ma far piovere massi misti a grandine, conoscere le magie del latte, far morire bestie e bambini è segno certo di stregoneria. Durante il processo confessò di possedere un unguento magico che le serviva per volare, custodito in uno scrigno insieme a cenere di un topo bruciato vivo, necessaria per le magie d'amore. Completavano la dotazione l'ossicino di un bimbo nato morto, un ciuffo di capelli e trucioli di essenze magiche diverse, utili per azzoppare persone e animali.

Si incontrava col diavolo e con le altre streghe proprio agli Stoarne Mandln: una miriade di omini di pietra in cima a un'altura sopra il paese, dai quali si gode di un panorama a 360 gradi sulla val Sarentino, Dolomiti, gruppo di Tessa, Merano 2000.

Ogni volta che ci torno mi chiedo come diavolo facciano a stare in equilibrio queste ardite piramidi, di anno in anno, col vento, pioggia e neve, con sommità che paiono sul punto di cadere da un momento all'altro. Come diavolo facciano, appunto.

Spero che la povera Pachlerzottl, bruciata viva il 28 agosto 1540, sia morta con negli occhi quel posto bellissimo, che conserva ancora un genius loci molto forte, pieno di mistero e di spiritualità.

lunedì 6 agosto 2007

DOLOMITI - Cento itinerari circolari


Uscito in giugno di quest'anno per i tipi della casa editrice Panorama, questo libro di Andrea Rizzato e Andrea Favarato propone 100 itinerari dolomitici ad anello. Sono descritti percorsi di varia difficoltà e durata, ferrate, qualche viaz.

Molto comode le tabelle riassuntive inserite ad inizio del testo: gli itinerari sono raggruppati per gruppo montuoso, per difficoltà e per durata. Una tabella è dedicata alle vie ferrate e ai percorsi attrezzati, ordinati per itinerario. Le utime pagine sono dedicate alla tabella riassuntiva dei punti di appoggio in ordine alfabetico, con il riferimento agli itinerari. E' specificato per ognuno il tipo di struttura, se rifugio CAI, bivacco o rifugio privato e il gruppo montuoso dove è collocato.

Corredato da 30 pagine di cartine estratte dalle mappe Tabacco e da moltissime fotografie, "Per precisa scelta sono state incluse escursioni solo ed esclusivamente nelle aree in cui l'ambiente è ancora integro e preservato dallo sfruttamento turistico e dagli sport di massa; non verranno quindi presentati giri dove la montagna ha perso irrimediabilmente il suo fascino e l'attrattiva, a causa del pesante intervento dell'uomo"

Ogni relazione è preceduta da una breve descrizione e da una tabella che elenca: punto di partenza e di arrivo, tempi parziali e tempo complessivo, dislivello complessivo, quota massima raggiunta, stato della segnaletica, difficoltà, periodo consigliato e cartografia; segue la relazione dettagliata del percorso.

Non l'ho ancora provato sul campo ma gli itinerari che già conosco mi trovano d'accordo sulle valutazioni tecniche e paesaggistiche.

I gruppi montuosi presi in esame sono:

- Col Nudo e Cavallo
- Dolomiti di Sinistra Piave
- Tèrze, Clap, Siéra
- Rinaldo, Peralba e Avanza
- Monti del Comelico Orientale
- Dolomiti di Auronzo, Sesto e Comelico
- Antelao, Marmarole e Sorapis
- Croda del Lago e Formin, Tofane, Fànes, Col di Lana, Cristallo
- Pelmo, Bosconero, Civetta e Moiazza
- Tamer e San Sebastiano, Pramper e Mezzodì, Schiara e Alpi Feltrine
- Pale di san Martino, Pale di San Lucano e Cima Pape
- Lagorai e Cima d'Asta, Cima Bocche

domenica 5 agosto 2007

Jeanne Immink (1853 Amsterdam, 1929 Milano): la prima donna sul IV° grado

Jeanne sulla piccola di Lavaredo, 1893.
Foto di Theodor Wundt, fonte wikipedia


Siccome noi “ginnaste alpine”dopo una scalata difficile siamo spesso oggetto di maldicenze, vorrei soltanto osservare di non essere mai stata issata in nessun punto come uno zaino attaccato alla corda.” (estratto da: “Drei Zinnen, Menschen-Berge-Abenteuer” di Helmut Dumler; casa editrice Bruckmann, Monaco, 1986)
(fonte Provincia Autonoma di Bolzano)

Colta, poliglotta, inquieta e, per i suoi tempi, dal comportamento non proprio irreprensibile, la troviamo prima in Transvaal insieme al marito Kerel Immink, poi in India insieme ad un ufficiale inglese e per finire in Svizzera con un figlio illegittimo da allevare. Non per nulla mantenne sempre un grande riserbo sulla sua vita privata: di lei si sapeva soltanto che era originaria di Amsterdam e poco di più. La sua prima biografia , scritta da Harry Muré, è stata pubblicata nel 2003 con il titolo: "Het mysterie van Jeanne Immink - De vrouw die naar de wolken klom." (il mistero di J.I. - la donna che arramipcava verso le nuvole).

Fu in Svizzera che "l'Olandesina" iniziò ad andare per monti, interesse nato in India durante le chiacchierate con ufficiali e scalatori inglesi ai piedi dell'Himalaya. Veloce e resistente, capace di fare 2.500 metri di dislivello al giorno, salì diversi 4.000 nei dintorni di Zermatt, fra i quali Cima Dufour (m.4.633).

Polemica e con atteggiamenti femministi, non perdeva l'occasione per sottolineare che mai si era fatta trascinare sulle cime dalle guide.

Diventata famosa sia a Zermatt che a Cortina, le guide si disputavano l'onore di averla in cordata: il suo nome faceva pubblicità al turismo nascente.

Fu una delle prime donne a liberarsi di gonne e sottogonne, e ad arrampicare vestita da uomo; usava guanti di camoscio per preservare le mani e una particolare cintura con anelli di metallo dove far passare la corda, per evitarne l'attrito con le cosce, creando una specie di imbrago ante litteram.

Fece scalpore la sua ripetizione della salita alla famosa Punta delle cinque Dita, in Sassolungo, che era costata più di 30 tentativi prima del successo, nel 1890, di Luigi Bernard, Robert Hans Schmitt e Johann Santner, e che era considerata, per il tempo, estremamente difficile; altrettanto celebre la sua conquista della parete nord della Cima Piccola di Lavaredo, nel 1893: la prima donna in assoluto a salire un IV grado.

Famosa la fotografia che la ritrae durante la salita alla Piccola di Lavaredo, opera di Theodor Wundt, alpinista, fotografo e produttore tedesco che con le sue pubblicazioni contribuì moltissimo a propangandare l'alpinismo.

Morì a Milano nel 1929.

Poco nota nel suo paese, qui in Italia le venne dedicata una splendida cima: Cima Immink nelle Pale di San Martino.


"Ha una
tenacia incredibile, un’intrepidezza audace, è un esempio luminoso."

(Theodor Wundt, op.cit)

sabato 4 agosto 2007

Hello, world!

"Il difetto di orientamento nella maggior parte delle signore è qualcosa di fenomenale. Una certa aglità nel corpo non si può negarla, alle signore. Fanno le loro cose male, ma quasi sempre con grazia.

Una imperizia favolosa la dimostrano nell'impiego della corda. Appena una su cento sa fare un nodo. Nessuna sa poi assicurare bene."
Paul Preuss*


"Ecco, io non so quando smetterò di salire, con che risultati, quante cime raggiunte e ridiscese, ma alla fine dirò che ho fatto compagnia al vento."

Nives Meroi**


* Vie e vicende delle Dolomiti
** Sulla traccia di Nives