venerdì 23 novembre 2012

Dove volavano gli angeli

Un post sconsolato di settembre del Cipputi mi ha risvegliato la memoria e, cerca e ricerca, ho ritrovato un articolo di Renzo M. Grosselli pubblicato sul quotidiano L’Adige il 16 settembre 2000, che avevo ritagliato e conservato. Ben nascosto: ho ravanato un bel po’ per scovarlo.

Il bosco si sta lentamente mangiando i pascoli della malga che fino allo scorso anno era in piena attività nonostante fosse priva di strada d'accesso.” scrive Fausto della situazione attuale. Leggetevi com’era 12 anni fa, che ne vale la pena: un sogno finito e un patrimonio di conoscenza, tradizioni e lavoro buttato. Esoterismo, medicina alternativa, grandi padri e Bibbie comprese, che su quelle ognuno la vede a modo suo.

(Non prendetevela con me per lo stile del Grosselli, è fatto così che ci volete fare?)

Dopo (o prima fa lo stesso) aver letto questo post, non perdetevi i link che trovate a fondo pagina.

montalon

Succede anche questo in un Trentino che sta facendo molto per distruggere le sue malghe: che la Magnifica Comunità di Fiemme chieda una lettera di fidejussione di 2 milioni di lire per permettere il passaggio delle vacche che lasciano una malga. Eppure a Malga Montalon si sta iniziando una sperimentazione che potrebbe indicare il cammino della salvezza ad altre malghe trentine oggi in crisi.

Immaginate una malga in cui lavorano tre persone: lui a suo tempo mise in piedi la prima Comune di Bolzano, lei a volte calza le braghe de coram(*) e l’aiutante è un nepalese. Fantasia? No, è Malga Montalon, sul territorio di Telve, di proprietà della baronessa Luigia Buffa. Lassù, quest’estate sono vissuti gli angeli: Emanuela Seber, 45 anni di Castello di Fiemme e Oswald Tonner, 47 anni di Terlano, con maso ed azienda agricola a Salorno. Del terzo angelo vi parleremo poi.

Cento minuti per raggiungere Montalon a piedi, in cima alla Val Campelle. Non un sentiero, ma un ex greto di torrente, scavato tra i sassi. In cima, la bellezza del Lagorai. Molti animali: la malga è stata caricata con 18 galline, 1 gallo, 2 gatti, 2 cani, 12 cavalli, 5 asini, 14 vacche, 64 manze, 3 pecore, 20 capre. In una ampia cucina pulita ed accogliente, Emanuela: braghe da jodler su un viso dolce e capelli neri. Non ha l’aspetto della contadina. A 20 anni Emanuela si sposò e si trasferì a Predazzo dove per 24 anni e mezzo lavorò come segretaria nell’azienda del marito. «A quel punto dovevamo scegliere: o altri 24 anni o separarci».

Si separarono in armonia. Lei, in quegli anni, aveva praticato anche sport ad un certo livello (fu quinta alla Pusterthaler sci di fondo). Ed aveva avuto alcuni incontri che le avrebbero cambiato la vita. Con un libro, nell’82, ad esempio: L’alimentazione dissociata. «Era dicembre e da gennaio in poi non entrò più carne in casa». Vulcanica, drastica, esagerata. «Il cambiamento grande per il mio cammino interiore e spirituale, la cosa che mi ha messa in contatto col Grande Padre è stato capire cosa lui ci ha proporzionato per mantenerci in salute. Dobbiamo partire dai chicchi che Lui ci ha donato, i cereali. Leggi la Bibbia e c’è tutto scritto». Corre, parla, sta mettendo sul fuoco un pasto fatto con le sue regole: pane di grano tenero e segale, gnocchi di miglio con zucchine. Dal 1982 Emanuela iniziò a coltivare la cucina naturale ed integrale. Un corso. «Non mollai più l’insegnante, Inge Orehek, autrice del libro La cucina integrale nelle Dolomiti». Assieme organizzarono successivi corsi in valle, poi l’insegnante fu solo Emanuela. Quindi la donna di Fiemme contattò la Fondazione «Ggb» del dott. Brucker: germanica, insegna alla gente ed ai medici il valore dell’alimentazione corretta. Ora Emanuela è la direttrice della sezione in lingua italiana della scuola, in Sudtirolo.

Un successivo passaggio per la donna di Fiemme fu la nascita della figlia Vanna nel 1986. Aveva dei problemi ai piedi. «O percorrevo la via normale, gesso ogni 15 giorni e poi imparare a convivere con l’handicap, o sceglievo la cura alternativa, i massaggi». Anche 14 volte al giorno massaggiava la figlioletta che ai 14 mesi si mise in piedi e camminò ed oggi è perfettamente normale. Talvolta Manuela in malga propone a chi la va a trovare il massaggio del piede. «Ho imparato che le mani sono due attrezzi meravigliosi». Il tutto, naturalmente, ha alle spalle 3 anni di corsi a Milano. Corre il tempo a Malga Montalon ma Emanuela mostra un quadro: pezzi di orologio: «È il simbolo mio e di Oswald, la rottura del tempo». Dopo i massaggi, corsi Reiki. «Un tuffo nelle vite precedenti, una doccia fredda. Tutti i drammi che viviamo, sono morti traumatiche o drammi di una precedente vita». Non è obbligatorio crederci.

Alla fine del ’98 Emanuela ebbe una visione: una grande casa di Carano, esistente, dove avrebbe potuto fare dell’agriturismo, organizzare corsi, preparare la sua cucina naturale e integrale. La prese svenandosi economicamente, piantò i suoi semi («Vedi questi? Hanno 100 anni e vengono da Capriana, non sono stati manipolati geneticamente»). Il 28 aprile del ’99 si recò ad abitare in quella casa. Il 4 maggio conobbe Tonner. «Tutto quello che io dicevo era quello che voleva lui, e viceversa».

Alto, magro, lunghi capelli raccolti in una treccia. Oswald è uno che nel 1975 partecipò alla prima Comune creata a Bolzano. Poi a Vienna frequentò i corsi universitari di psicologia e pedagogia. Quindi, per 25 anni, in segnante all’Istituto agrario di Ora. E un maso, gestito sopra Salorno: «Lo trovai abbandonato, lo comprai. Una lunga via durata 20 anni». Oswald ha un feeling unico con gli animali: li accarezza, parla con loro.

OswaldOswald (foto Ruralpini)

Dopo l’incontro con Emanuela, l’aiutò nei corsi che lei aveva organizzato nella casa di Carano. Ma a gennaio del 2000 qualcuno comunicò loro che era disponibile Malga Montalon. «Capimmo che era importante. Contattammo la baronessa e facemmo il contratto senza vedere la malga». Il contratto parla di 6 anni, prorogabili a 10. Il primo maggio 2000 la coppia si è recata a Montalon. L’impatto fu duro: la sporcizia accumulata era moltissima, le cose da cambiare anche. Cinquanta giorni di duro lavoro. Ma avevano bisogno di una terza persona per portare avanti la stagione di malga anche perché Emanuela aveva deciso che avrebbe proposto agli ospiti la sua cucina. Detto, fatto. Giunse una telefonata di un ragazzo di Trento che proponeva un suo conoscente: si trattava di Sange Lama, un nepalese di 25 anni che, in effetti, ha lavorato tutta l’estate in malga. «Lui abita in un villaggio sopra i 4.000 metri, dove vivono 12 famiglie. Ha lasciato la sua terra per studiare. Giunse in malga con le bandierine benedette nel monastero del suo paese. È legato carmicamente a me osserva Emanuela la numerologia lo conferma».

Il 12 giugno la malga è stata caricata: vettovaglie, mobili, materiali edili sono venuti sin quassù con l’elicottero. Nove milioni di lire di spesa. Perché manca una strada. Qui i tre amici hanno fatto burro, formaggio di mucca e di pecora. Emanuela ha proposto agli amici i suoi piatti. Il formaggio si fa col gas a Malga Montalon. Perché? «Non c’era legna e non c’era tempo per farla. Certo, tutto sarebbe migliore con la legna...». Il formaggio di Montalon è eccezionale, quello di capra, paradisiaco.

Economicamente funziona questa malga? «Quest’anno andremo in pari con le spese. L’anno prossimo altre spese. L’importante è portare un’alitata di gioia. Ogni volta che arriva un messaggero alla porta io mi dico: "Chissà chi mi manda il Signore"». Manuela dalle braghe de coram e dagli occhi dolci. A Malga Montalon Emanuela e Oswald non propongono solo formaggio e burro ma una visione completa della vita. Non utopistica. Perché Tonner sa bene che se il lato economico non quadra, tutto va a catafascio. «Una strada è indispensabile o gli allevatori non ci daranno più le bestie. Abbiamo un capitale di 200 milioni di animali». Per portare su e giù le cose, quest’anno Oswald ha usato i suoi asini, caricati con cestoni di vimini. Come un secolo fa. E come scaricare le mucche con quel sentiero? Via Val di Fiemme. E qui la novità: la Magnifica Comunità ha chiesto una lettera di fidejussione bancaria di 2 milioni di lire. Incredibile.”

L’Adige il 16 settembre 2000

E di seguito, LAURA ZANETTI
Malga dell’acqua e malga della vita

«Montalon e Montaléto, la Costa e Zopéta... ’nde via solo per Campele...», recitava l’antica scritta in val Campelle che segnalava le quattro storiche Malghe dei Castell’Alto. Dopo un «assalto » dolce di larici «...alleati dei pascoli per le fronde leggere, filtranti luce... », come rivela il prof. Pedrotti, appare Malga Montalon, totalmente immersa nella vasta libertà di orizzonti, ove è intuibile una frequentazione pastorale antichissima e dove si è intessuta forte la relazione tra uomini ed animali. Lassù al «Baloton» (enorme masso roccioso), riparavano un tempo i pastori, ma non la notte tra «i Santi e i Morti»... avrebbero avvertito i suoni dei campanacci sepolti con le loro bestie a Malga Cere causa una spaventosa moria per carbonchio!

Dentro una luce a perdifiato, ovunque sta la voce dell’acqua. Acqua che si fa lago e rio, sorgente che sgorga, sussulta, s’insinua tra questi alpeggi, scrigno prezioso di eccezionali rarità vegetali: Draba stellata, Stellaria, Geum, Gaya, Lichene... descritti dal bassanese Montini, grande esploratore botanico del Lagorai. «...Radici, trefojo, tuto en fior l’era té le Giàre» e «...su te le buse de Ziolére, ala prima erba...», ricorda Gemma, moglie di Nello Paterno, l’ultimo casaro di quella dinastia di Spera che per 97 anni consecutivi, conservò con saggezza questa malga e la «sociologia » dei suoi fiori. «...Se ti vol molder, staghe drio al graso...» (se vuoi un buon pascolo, utilizza intelligentemente lo stallatico) dice la metafora popolare: l’acqua nasce a monte di un lunghissimo barco di porfidi, lo percorre nel suo interno, viva, sull’acciotolato, fuoriesce alimento per questi prati, ed i suoi fiori, perfetta e complessa «farmacia», messa in moto dal sole. L’acqua poi, è forza motrice per la zangola, energia per le «lengue de vaca» (acetosa), con cui, un tempo si avvolgevano i pani di burro.

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Malga Montalon: impianto "a energia rinnovabile" per l'azionamento idraulico della zangola (foto Ruralpini)

Nella «caséra», unico caseggiato che ospita il luogo del fuoco ed il luogo del latte è il legno l’elemento che caratterizza la struttura: le ampie finestrature del «casélo» e l’armonioso assemblaggio di assi e tronchi nello spazio frontale, testimoniano i forti «legami» architettonici con i «Bait» di Fiemme ed i «Tabia» del Vanoi, filtratisi attraverso i collegamenti periferici. Staccato in un unico corpo di fabbrica, il «caserin del formai»; «Paradiso » era il suo nome ottocentesco. «Paradiso » è tuttora per quei due sensi, affatto minori, l’olfatto ed il gusto, ove dimorano le memorie e le emozioni. Fuori, tra le «Buse», «el Scagno dell’aspio », «el Scagno de s. Piero», «el Pian dela Cavala» pascolano solo le vacche retiche dell’attuale malghese Oswald Tonner: le antiche «bigie» brucando, conservano la storia di Malga Montalon, casa del tempo infinito. Dentro il cuore del Lagorai, è lei l’anello di congiunzione tra area della «resistenza casearia » e l’area impoverita e depredata dai lattedotti che sta annullando l’economia identitaria di queste valli. Non quassù nella malga dell’acqua, nella malga della vita poiché, l’esperienza del passato, fatta propria da Oswald e Emanuela Tonner è la prospettiva ideale che configura il nuovo rapporto con la terra in una micro - economia tutta da valorizzare.”

Ma, scriveva Mario nell’agosto 2011 sul bel blog gemello:
purtroppo, questo potrebbe essere l'ultimo anno che Oswald potrà condurre in alpeggio a Malga Montalon le sue bestie e deliziarci con il suo burro straordinario e il suo formaggio di capra perché il barone Luigi Buffa non vuole ristrutturare la malga per adeguarla alle normative vigenti, e così.........un tesoro di inestimabile valore andrà perso.”

Infatti. E il risultato, in un solo anno, è quello descritto da Cipputi.

(Spero di non aver violato troppi diritti con la pubblicazione di questo articolo. In caso contrario, se qualcuno si seccasse e chiedesse risarcimenti, portatemi le arance in prigione per favore, che ormai non fumo più, accidenti! ;) )

(*) braghe de coram: pantaloni di cuoio, tipo questi

link:
Antichi mestieri: la malga di Montalon
L’altro Terre Alte: Le malghe del Lagorai: Malga Montalon
Cipputiblog: Il lento declino di Montalòn
Ruralpini: Malga Montalon
Vita Trentina: intervista a Oswald

mercoledì 14 novembre 2012

7 vite (Aggiornamenti felini)

micetta

Sbircio dalla gattaiola e che ti vedo? Un muso bianco che mi guarda interessato. Se ne è andata zoppicando sotto il diluvio, torna come niente fosse sotto il sole splendente, dritta come un fuso, come non fosse mai stata malata e come non fosse mai andata via.

Strane bestiole, i gatti, non si è mai certi di quello che passa loro per la mente. Che senso ha andarsene in mezzo alle alluvioni, starsene in giro nei 4 giorni peggiori dell’anno e tornare quando fuori è sereno, tiepido e splende il sole?

Gli antibiotici han fatto il loro lavoro e la zampina pare quasi a posto, la tengo d’occhio ma se continua a migliorare non la riporto dal veterinario: non vorrei che collegasse me al trasportino, alle visite, alle radiografie e se la squagliasse nuovamente. Anche Moser è d’accordo.

Si è piazzata sul divano, ha fatto una ronfata galattica e stamattina è sparita di nuovo. Ma adesso è qui sotto la scrivania che fa le fusa, riveste il tappeto di peli bianchi e soffia a Lamicia.

Spirito libero, chissà se vorrà restare o se andrà via un’altra volta, se farà il gatto part time o se pianterà le tende. Comunque sia, la strada la sa e la zampa sta bene.

(Ma se decide di non tornare, sappia che le mando il conto del veterinario! veda lei...)

sabato 10 novembre 2012

Abbi cura di te, piccolina

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Pensavamo fosse di passaggio, ma dopo 3 notti sotto il nostro rododendro, si è capito che si è persa. Affamata come un lupo, bagnata e zoppicante, pian piano siamo riusciti a farla dormire in una cuccia sul balcone, poi in casa. Bellissima, pelo medio lungo, color caffelatte. Giovane, intelligente e dolce.

Ho fatto appelli sui quotidiani e attaccato cartelli in giro per cercare i suoi padroni: si sono fatte vive diverse persone per adottarla ma i suoi niente: vabbè, amen, da oggi abbiamo due gatti.

Lamicia non era proprio soddisfatta, ma non l’ha mai attaccata né minacciata. Ed è cominciato il vai e vieni col dottor Moser: un ascesso da morso infettato (antibiotici), una zecca dietro un orecchio da togliere, un’infiammazione ad un occhietto. A parte questo, una gattina discreta, silenziosa. E triste.

Dormiva sul divano o sotto la scrivania, all’inizio puntava la porta del balcone per uscire, ma con quella zampina zoppicante non mi pareva il caso. Poi ha smesso.

Ieri sera la saluto con una grattatina, mi prendo una leccata sulla mano, la lascio in studio sotto la scrivania e vado a nanna. Stamane la micetta non c’è più. Alla lettera: scomparsa, puff!

Non ho un loft da 500 metri quadrati, e li ho setacciati con cura: non c’è. Cantina, niet, giardino, niet, sotto il rododendro nemmeno. Come diavolo abbia fatto a sparire, è un mistero. Nessuno da ieri sera ha aperto porte né finestre, eravamo tutti a letto: resta la gattaiola della finestra in cucina. Ma cazzo, ieri non saltava nemmeno sul divano, dal male alla zampina. E la gattaiola, non glie l’ha fatta vedere nessuno, aspettavamo che guarisse. Non è nemmeno comoda da usare: bisogna scendere da un albero, niente di che per un gatto sano ma per una micetta debilitata e zoppicante?

Ho rimesso la cuccia sul balcone e una scodella di cibo. Spero torni da sola, ma non la costringerò sicuramente a restare: se è scappata una volta, anzi due, scapperà ancora. Uno spiritello libero, o alla ricerca della SUA casa, oppure siamo stati una tappa sul suo sentiero, non so. Noi abbiamo fatto quel che potevamo.

Adesso fuori piove, e c’ho un po’ di magone. Abbi cura di te, piccoletta. Qui una casa, la pappa e un po’ di carezze, se le vuoi, le troverai per sempre.