Rossana Podestà e Walter Bonatti in Etiopia nel 2010 (archivio Bonatti; fonte, Epoca, numero monografico del 16 novembre 2011)
Per farmi perdonare di aver onorato con grandissimo ritardo una promessa fatta a Enrica qualche post addietro, violando una marea di diritti pubblico ampli stralci dell’intervista di Emanuele Farneti a Rossana Podestà comparsa sul numero di Epoca dedicato alla figura di Walter Bonatti.
«Ero lì che l'aspettavo ai piedi dell'Ara Coeli, 2 giugno 1981. Ero preoccupata, il tempo passava e lui non arrivava più. Ricordo che in quegli anni la zona di notte era mal frequentata e infatti un vecchietto, vedendomi lì in piedi da sola, ha pensato facessi il mestiere e mi ha detto: "Eh no, mo' pure de giorno!". Dovevamo incontrarci alle undici, l'ho aspettato fino alle due del pomeriggio. Poi giro l'angolo e lui è lì, che cerca di convincere i vigili a non portargli via la macchina. Gli avevo detto Ara Coeli, e lui aveva capito Altare della Patria. Siamo stati per ore ad aspettarci a distanza di un angolo, come due cretini. Allora gli sono corsa incontro e gli ho detto: "Ma che esploratore sei? Se non mi trovi almeno cercami!"».
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«È la prima volta che lo vedo. Salgo in macchina e mi accorgo che guida con due dita sul volante. Penso: magari le altre le ha perse sul K2. Poi frena di colpo, ché mi stava guardando e rischiava di finire in un tram, distende la mano e vedo che ci sono tutte e dieci. Meno male, mi dico. Sul sedile posteriore aveva di tutto: corde, ramponi, chiodi da roccia. E carta igienica, che usava per scriverci sopra».
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«Le spiego. Dopo oltre vent'anni Walter aveva da poco concluso la sua collaborazione con Epoca, e non era di certo ricco. Alcuni amici gli avevano segnalato una mia intervista in cui dicevo che, se mi fossi trovata su un'isola deserta, avrei voluto andarci con lui. Mi aveva scritto una lettera: "Allora quando partiamo?". Così gli avevo mandato il mio numero di telefono. Mi chiama un giorno di fine maggio all'Argentario, dice che potrebbe venire a ottobre. Attacco e penso: be', allora non gli interesso poi molto. Un'ora dopo richiama: "Verrei a inizio settembre". La sera chiama ancora e mi dice: "Vengo dopodomani". Ho scoperto in seguito che stava tentando di organizzare una conferenza e una scalata lungo la strada per pagarsi la trasferta, per questo quel giorno aveva in auto la sua attrezzatura. Pensava che come attrice avessi chissà quale tenore di vita ed era preoccupato di dovermi portare fuori a pranzo in un bel posto. Finimmo in un ristorante di piazza del Popolo, e non ci lasciammo più».
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Che cosa porta un esploratore nella vita di una diva?
«Un meraviglioso cambiamento, e per certi versi un ritorno. Io e la mia famiglia ce ne siamo andati da Tripoli che avevo 6 anni, con solo una valigia da 15 chili e pochi soldi in tasca. Sono stata una bambina selvaggia a Fiascherino, non andavo a scuola, uscivo da sola con la mia barchetta, pescavo e crescevo così. Diciamo insomma che l'avventura non mi ha trovata impreparata. Ho fatto l'attrice per guadagnare due lire, ma la mia vita vera stava altrove».
Così è cominciata l'avventura.
«Walter voleva iniziare la nostra vita assieme facendomi conoscere le sue montagne, i suoi sentieri. Così partiamo dalla catena del Bianco, mi porta a vedere la Mer de Glace, il Capucin, il Dru: i luoghi delle sue grandi imprese. Abbiamo con noi la tenda per stare fuori quattro giorni. Camminiamo coi ramponi tra crepacci profondi 80 metri, quando vediamo salire una tempesta. Inizia a nevicare prima che noi si finisca di piantare i picchetti. Siamo rimasti chiusi dentro la tenda per 3 giorni e 3 notti. Il terzo giorno Walter mette la testa fuori, annusa il vento e mi dice: "Scappa via, veloce!". Inizio a correre scalza, facciamo appena in tempo ad allontanarci di qualche centinaio di metri quando cade una valanga proprio sulla nostra tenda. Sei o sette minuti più tardi e non ci saremmo stati più».
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«Dopo due anni assieme ha voluto portarmi in Patagonia, perché era il reportage di Epoca che mi aveva più emozionato da lettrice. Atterrammo a Comodoro Rivadavia e ci inoltrammo nella prateria. La vista di quell'infinito mi fece capire che la nostra sarebbe stata un'avventura meravigliosa. Costeggiammo le Ande fino alla Terra del Fuoco, fermandoci a vedere le valli che non conosceva, cavalcando e restando per settimane intere nei luoghi che più ci piacevano».
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E l'ultimo viaggio?
«L'anno scorso, a Gilf el Kebir in Egitto, dove abbiamo trovato degli agglomerati di roccia trasparente vecchi 30 milioni di anni e mari di sabbia disposta a onde e leggende di un esercito perduto che vagò per 20 giorni senza incontrare nessuna forma di vita né animale né vegetale. Walter disse che era il deserto più bello della sua vita. Era molto stanco, iniziava a stare male»
La storia della malattia di Bonatti è nota: un tumore (al pancreas) che esplode in pochi mesi, lei che prende la decisione coraggiosa e terribile di non dirgli nulla della malattia per far sì che possa vivere la sua vita fino in fondo, l'estate all'Argentario, gli ultimi bagni. Il 12 settembre non respira quasi più, deve essere ricoverato. Lo porta di corsa a Roma, al Gemelli hanno posto solo in corsia, per avere una stanza in cui stargli vicino deve ripiegare su una clinica privata. Dove la situazione sfugge di mano, l'ossigeno scappa via, i medici rifiutano la morfina e, utilizzando come pretesto il fatto che i due non sono sposati, la allontanano dal capezzale, si accaniscono nella terapia. Strappando così a Bonatti il conforto della sua compagna negli ultimi istanti di vita, negandogli il diritto di andarsene con qualcuno che ti tiene la mano e ti dice che non sei solo, che non lo sarai mai.
«Ricordo che quando si arrabbiava faceva paura, gli dicevo sempre che gli venivano gli occhi da leone. Ecco, da dietro il vetro di quella stanza vedevo i medici che cercavano di forzargli il respiratore, e in realtà lo soffocavano, e dovevano tenerlo fermo in quattro perché aveva trovato ancora un po' di forza, come quel giorno sul Colorado. E, anche se non dimenticherò mai la violenza che ci hanno fatto, ricorderò anche quanto in quei momenti sono stata orgogliosa di lui, di quella luce antica che gli ho visto ancora una volta negli occhi».
Cosa è successo dopo?
«Mi hanno chiamata dentro dicendomi che aveva avuto un attacco cardiaco. Il medico stava dietro le sue spalle e provava a farlo respirare ancora con un palloncino. Gli ho detto: "Guardi che è morto". Allora lui si è seduto al tavolino e senza dirmi una sola parola di conforto ha preso la penna e mi ha chiesto: "Bonatti si scrive con una o due T?"».
Quando ormai è scesa la sera sul casale di Dubino Rossana Podestà sorride.
«Quanto mi piace qui. È la primavera casa di Walter, e per questo non la lascerò mai. È esposta a sud, vedi il sole tutto il giorno e fino a tardi, la sera».
Emanuele Farneti
“Non esistono “tue” montagne ma esistono tue esperienze. Sulle montagne che hai scalato possono salirci altri, ma le tue esperienze non te le piglierà più nessuno"
Walter Bonatti