Königspitze - Gran Zebrù
Anche sul N.G. it.sport.montagna (sì, esiste ancora, e qualcuno ancora ci scrive) ci si sta chiedendo “perché?”. Fatalità, errore, imprudenza, poca preparazione, sfiga? Difficile parlare seduti in poltrona. Luigi Ruggera ha raccolto per il “Corriere dell’Alto Adige” (che non posso linkare perché non c’è on line) la testimonianza di chi li ha visti volare, Fabio Lenti, guida alpina:
«Nella cordata davanti a quella dei tre ragazzi altoatesini c'era anche un istruttore del Cai, che li aveva avvisati: tornate indietro, è pericoloso. Ma loro purtroppo non hanno seguito il consiglio e, poco dopo, sono precipitati. All'istruttore del Cai che li aveva avvisati — continua Lenti — hanno risposto che per loro non c'era alcun problema ed hanno quindi proseguito. Poco dopo, si è verificato il tragico incidente: li ho visti precipitare. Avevano sottovalutato la situazione del manto nevoso: pensavano, probabilmente, che la neve fosse molle e che quindi, anche in caso di caduta, sarebbero riusciti a fermarsi. Ma così non è stato perché in quel tratto il pendio è molto ripido, fino a 45 gradi. Nei pressi del collo di bottiglia, in effetti, la loro caduta si era rallentata, ma non sono comunque riusciti a fermarsi ed hanno poi fatto il salto della parete, precipitando nel vuoto».
Lorenzo Zampatti, Presidente CNSAS Alto Adige, intervistato per la stessa testata da Federico Mele, risponde fra l’altro:
«Sicuramente si tratta di una coincidenza, anche se è inevitabile pensare che qualche errore è stato commesso, in entrambi i casi. Per il primo incidente so che ci sono testimoni, e hanno confermato che i tre alpinisti erano legati tra loro senza però, come si dice in gergo, "fare sicurezza" a terra. Per quanto riguarda invece il secondo incidente, quello del primo pomeriggio, la dinamica non è ancora molto chiara, anche se è molto probabile che sia accaduta la stessa cosa. Ed è inevitabile che affrontando la salita in questo modo, basta la caduta di uno, per trascinare giù anche gli altri».
Sul quotidiano Alto Adige a parlare invece è Christian Knoll, del Soccorso Alpino di Sulden – Solda, che ha partecipato alla spedizione di recupero degli alpinisti:
«Con la stagione avanzata, normalmente chi scivola lungo il pendio sommitale è in grado di fermarsi ai suoi piedi, dove c’è una specie di catino circondato da roccette - spiega Knoll –ma in questo periodo c’è ancora molta neve, il catino è coperto e il pendio si trasforma in una sorta di trampolino di lancio verso il vuoto.
Non si può dire che gli alpinisti morti ieri siano andati incontro al loro destino da sprovveduti, tutti erano perfettamente equipaggiati, al termine della caduta indossavano ancora i ramponi - continua – il problema è che la neve può diventare instabile, basta poco a metterla in movimento e quando parte un membro della cordata, soprattutto se è il primo, c’è il rischio concreto che porti con sè anche i compagni»
Reinhold Messner (Autore Vale93b Fonte Wikimedia Commons, licenza Creative Commons 3.0)
E poi arriva Messner a dire la sua, sempre per L’Alto Adige, a Massimiliano Bona:
«Quello è un posto pericoloso, negli ultimi anni quasi maledetto, e se non ci sono le condizioni bisogna avere il coraggio di tornare indietro». Racconta di essere tornato indietro, nello stesso posto, con condizioni simili e di non essersi vergognato: «In questi casi bisogna pensare che la montagna resta e l'esperienza che un alpinista fa a tornare indietro è probabilmente più importante e formativa di quella che avrebbe fatto a raggiungere la vetta. In cima non c’è nessuno a darti la medaglia»
L’Ortler – Ortles
Aggiunge poi con un certo cinismo: «Non ho problemi a dire che chi affronterà questa mattina* la parete Nord dell'Ortles, e scommetto che saranno in tanti, è uno stupido. Ma veramente stupido. Il rischio che cadano dei seracchi, dei blocchi di ghiaccio, è molto elevato. Può accadere tre volte alla settimana o tre volte in un mese in questo periodo ma il rischio c'è. Fosse per me impedirei anche ai più esperti di salire: metterei un divieto di transito in alta quota.
Età, forma fisica, esperienza e conoscenza del territorio sono fondamentali. Chi sale tardi in questo periodo non ha la testa a posto». «Con questo caldo non gela più la notte e gli alpinisti non hanno sotto i piedi uno strato compatto. Il primo che cade, poi, trascina gli altri a valle con le tragiche conseguenze di ieri sul Gran Zebrù».
Aggiunge ancora Messner: «Io con questo caldo non andrei a fare una salita sul Gran Zebrù. Gli escursionisti esperti lo dovrebbero sapere». […] «Anche la via normale è molto pericolosa con le alte temperature e se l’inverno ha portato tanta neve. Io penso, ma non posso dimostrarlo, perché non sono salito, che nella zona dell’incidente sia caduta una valanga di neve bagnata. Con le attuali temperature la neve non riesce a solidificarsi creando così una situazione di forte pericolo. La neve bagnata tende a scivolare» […] «anche avere la piccozza non garantisce sufficiente sicurezza».
Fatalità, errore, imprudenza, sfiga? Tutto insieme, forse. Resta il rimpianto di 6 giovani morti, di famiglie distrutte, di bimbetti che si chiederanno per sempre “perché”.
Chissà almeno se il prossimo we qualcuno farà tesoro di questa tragedia e ci informerà meglio sulle condizioni.
* lunedì mattina
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