Reyner Banham: Deserti americani
Traduttore: Fagetti R.
2006, XVI-211 p., ill., brossura
€ 19,00
Editore: Einaudi (collana Saggi)
ISBN: 88-06-18502-0
Gran bel libro, questo. Difficile da catalogare, troppo denso di argomenti e di spunti per incasellarlo fra i libri di viaggio, o di critica d'arte, di riflessione o di antropologia.
Gli architetti secondo me sono tutti un po' svitati: potrebbe essere da meno Banham, che dell'architettura fu storico e critico? Inglese, di formazione europea, critico d'arte, saggista, scopre per caso i deserti del sud ovest americano e se ne innamora. E al contrario di come avrei fatto io o, come recita la quarta di copertina, ogni "ecologista manicheo o di maniera", se ne va in giro attratto dalle tracce lasciate dal passaggio degli uomini che l'hanno preceduto e che questi deserti tuttora attraversano. Percorre chilometri e chilometri avanti indietro in queste solitarie e abitatissime terre sperdute fra cespugli di artemisia e laghi prosciugati attraversate da reticoli inimmaginabili di strade e autostrade, sbigottito dall'immensità di orizzonti impossibili nella piccola Europa e affascinato dalle luci e dai colori, e cosa va a cercare? Le tracce della civiltà.
Mojave Desert (foto Jeff T. Alu; fonte wikimedia commons, GNU Free Documentation License)
Percorre interstatali, Highway e piste, costeggia ferrovie e ne descrive e commenta le stazioni, fa rifornimento nelle stazioni di servizio, si insabbia, quasi si scontra, nel deserto!, con un autotreno. Visita quel refuso tipografico, come lo chiama lui, di Zzyzx con le rovine della stazione climatica fondata dall'evangelista radiofonico Curtis Howe Springer, alle quali non si può negare un notevole fascino; le utopie di quei geniali pazzoidi come Paolo Soleri e Frank Lloyd Wright; la missione di San Xavier del Bac; si ferma umile e sgomento a Mesa Verde e a Taos, davanti ai resti di una civiltà che non capisce e ne ricava uno spaesamento culturale.
Inatteso il suo angolo visuale: tracce umane e natura si assimilano le une con l'altra senza darsi fastidio, si abbracciano e si compenetrano: culturalmente non attrezzato a questi paesaggi scopre che un pozzo petrolifero con le sue macchine in azione o un'autostrada, la stessa Las Vegas, in quel posto, con quella luce, immersi in quei colori, sono in armonia. Niente a che vedere con le immagini ormai diventate retorica della Monument Valley, che lui assimila nella mente ad un parco a tema.
Last but not least, Banham scrive piuttosto bene, leggerlo è un piacere. Fa anche venir voglia di partire, si si, in questo campo direi che è pericoloso!
In sostanza, io cerco il deserto in mezzo alla civiltà, lui cercava la civiltà nel deserto, affascinato dall'uno e dall'altra. Ma non lo sento poi così lontano.
Un po' più convenzionale e distante da me il suo approccio alle montagne, che vede da sotto e da lontano, resta incantato dal panorama ma, secondo me, pur dedicando loro un intero capitolo, non com-prende mai del tutto.
Splendido post.
RispondiElimina(manonlocomprononlocomprononloc)
Francesca,
RispondiEliminagrazie del post, comprerò il libro, poi ti dirò. Per me i viaggi ... a partire da una certa sig.ra Ella Maillart.
Ciao
Guido
sicurasicurasicura equipaje? :P
RispondiEliminaGiudo, spero non ti deluda :) a me e' piaciuto parecchio.
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