Il fronte della frana
Ero piccoletta ma me lo ricordo benissimo: la Emma piangeva come un vitello, giù in lavanderia, strofinando le lenzuola di mia nonna. Aspettava notizie da casa, da Longarone, dove aveva ancora i suoi, dove conosceva tutti, e non ne arrivavano. Non si capiva bene cosa fosse successo, quanti morti, dove, cosa fosse rimasto del paese, quali case, chi si fosse salvato. La zona era irraggiungibile, la radio era ancora imprecisa, la TV più vicina ce l'aveva il bar sotto i portici, Internet si chiamava ancora Arpanet ed era del Pentagono, le notizie non volavano come oggi. Il telefono di casa sua era muto.
E' la prima grande tragedia collettiva dei miei ricordi, la prima volta che condivisi il dolore e l'ansia di chi non conoscevo, che mi sentii parte di qualcosa di più grande della mia famiglia.
Erto, agosto 2003
La Emma lavava e piangeva, e non sapeva ancora che lei, la famiglia, non ce l'aveva più.
Ero sicura di trovare un ricordo del Vajont qui, ma vengo presa quasi in contropiede da un ricordo così intimo e personale
RispondiElimina(ero piccola anche io, ma in altre longitudini).
:*
RispondiEliminaio non c'ero... per me il vajont vive con lo spettacolo di paolini
RispondiEliminaQualcuno ha detto che chi non ricorda la storia è destinato a subirla di nuovo. Eppure le tracce di questo evento sulle rassegne stampa di ieri erano labili e sfumate. Per me il vajont inizia con una raccolta di foto e stralci di giornale, per passare alla visione spettrale della diga illuminata di notte, vista dalla piazza di longarone. Ed il taglio sul Toc si confonde con le rughe del volto di Corona, mentre finisce un bicchiere di cabernet fuori del bar, nel deserto di New Erto.
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RispondiEliminaDice bene gp. Se molti anni fa una sconosciuta comunità montana della Val di Scalve non avesse organizzato una mostra sul disastro del Gleno, io manco me ne sarei mai accorta, e dire che in Val di Scalve ci andavo spesso. Altra diga, altri interessi economici, uno spaventoso crollo all'alba. Da allora, ci ho portato "in gita" non so più quanta gente.
RispondiElimina19 luglio 1985: avevo dei cugini quella mattina in gita all'Alpe di Pampeago. Ad un certo punto hanno sentito, così mi hanno detto, uno strano tuono in una giornata senza temporali. Quella della Val di Stava è stata un'altra tragedia, che si poteva e si doveva evitare e che nessuno più ricorda.
RispondiEliminaciao
Andrea, forse perche' io sono qui vicina, ma ogni anno il 19 luglio se ne riparla, di Stava. Con un po' di stanca, e' vero, parecchia retorica, c'e' la messa, una cerimonia, il telegiornale locale ne fa la cronaca un po' frettolosa. Ma se ne riparla. La fondazione Stava poi fa divulgazione, ha promosso un master di II livello in analisi e gestione di sistemi geotecnici insieme all'universita' di Trento e di Torino... insomma mi pare che non sia una tragedia dimenticata.
RispondiEliminaChe poi serva a far riflettere prima di devastare di nuovo il teritorio per mero interesse, dubito assai.
la diga del Gleno invece e' davvero scomparsa dalla memoria.
gp: newErto, e anche la nuova brutta Longarone, e' l'icona di una cultura e di una comunita' cancellata. Fa freddo e malinconia, e non basta l'atelier di Corona a scaldarla. E' un visggio emozionante. Ricordo un piccolo cippo di fianco alla strada, con le fotografie di una famiglia e il cardine di una porta incastonati. Tutto quel che si e' salvato di una casa e di una famiglia.
Francesca,
RispondiEliminadi seguito al tuo post di oggi, sono pi arrivato qui. Avevo 9 anni, guardai il telegiornale, (c'era un canale solo allora, in bianco e nero). I miei genitori, i miei conoscenti erano impietriti, sembrava che quella tragedia li avesse riportati indietro 20 prima, alla guerra, a Milano bomabardata, alle morti. Mi ricordo mio padre impietrito di fronte al televisore ed io ti assicuro ho ancora vive quelle immagini di fango, per noi piccolini, mio fratello ed io, era toccare quasi con mano la tragedia che i nostri genitori ci avevano raccontato, avevano vissuto in prima persona un paio di decenni prima. Allora per la follia umana, qui per l'imbellicità dell'uomo ed un po' per un pizzico di follia della natura. 45 anni dopo.
Guido