Merano 2000 - Bacino per l'innevamento artificiale
Dal giornale "L'Adige" di Trento di martedi' 1° marzo 2005
PROF AMBIENTALISTA. Giorgio Daidola, professore universitario, è un grande conoscitore della montagna
Di FABRIZIO TORCHIO
Pinzolo-Campiglio, lo sviluppo del Brocon, il grande carosello di Folgaria-Lastebasse e il collegamento San Martino-passo Rolle, nel parco delle Pale. Ancora piloni, seggiovie, piste e cannoni da neve da realizzare in fretta, perché ogni anno la lancetta dei contributi pubblici segna cinque punti in meno. Il 17,5% a chi fa domanda quest´anno per il 2006, il 12,5 l´anno prossimo. Ecco l´urgenza di progettare, di staccare licenze.
«Ma è un modello che fa male alla montagna e allo sci», obietta Giorgio Daidola, docente universitario di economia e gestione delle imprese turistiche a Trento. «Investono il denaro di tutti in un settore maturo, in crisi e senza futuro». Negli Usa - rammenta - in 20 anni le stazioni di sci sono scese da oltre 800 a 490. Se il fatturato delle stazioni alpine non cresce, i costi gestionali salgono alimentando la corsa al contributo pubblico. «Continuare a investire in modo massiccio nel settore dello sci di massa - avverte il professore - è oltremodo rischioso»
Ma Daidola, torinese con maso in Val dei Mocheni (abita a Frassilongo e sul prato di casa scia con una vecchia manovia) non è solo un economista. Del pianeta bianco è protagonista: maestro di sci dal ´71, presidente dell´Associazione telemark international, a «talloni liberi» ha sceso per primo un ottomila in Tibet, lo Shisha Pangma. Ha disegnato serpentine sui vulcani del Sudamerica e attraversato grandi ghiacciai in Canada e Antartide. Il suo invito a non usare gli impianti in Val Jumela, risalendola con le pelli di foca, gli ha allontanato più di un amico e la distanza della politica provinciale.
Lo sci sta diventando monotono e noioso, dicono a «The White Planet» chiedendo meno piste battute e meno pressione sulla natura. «Sono d´accordo, meglio gli impianti leggeri che danno minori impatti sull´ambiente, richiedono minori investimenti, consentono più veloce recupero del capitale e sono più flessibili: gli imprenditori non sono costretti a tenerli aperti».
Lo sci è in crisi? «I dati dicono che dal 1997 al 2004 il numero di sciatori è sceso del 24%. Prudenzialmente - sono aumentati gli snowboarder - valutiamo un calo del 10% contro l´aumento del 35% dell´escursionismo estivo. Le vendite di sci sono diminuite del 30% dal ´93 al ´98, da 6,2 a 4,3 milioni di paia. Dagli anni ´70 ad oggi si è scesi da 390 a 110 centimetri di neve caduta: il 60%; a 1.200 metri abbiamo 124 giorni di neve al suolo con una riduzione del 20% della superficie nevosa. La neve artificiale, inizialmente usata per piccole zone, ha innescato una spirale: per pagare gli investimenti necessari a produrla bisogna aumentare i passaggi, quindi le portate orarie degli impianti. L´industria dello sci, da flessibile, è diventata rigida».
E i costi? «Mantenere 70 milioni di passaggi all´anno richiede grandi spese di promozione per attirare mercati distanti, che spesso poi pagano poco. Il costo della neve artificiale è stimato in 136 mila euro ad ettaro, compresi gli ammortamenti degli impianti e il costo d´esercizio. E il 60% delle stazioni sulle Alpi è in deficit».
È anche cambiato lo sci. «La neve artificiale è fatta di palline di ghiaccio che pesano quattro volte di più e richiedono continue lavorazioni per non diventare una superficie durissima. I francesi correttamente la chiamano neige de culture, neve di coltura, e ha fatto nascere attrezzi e tecnica diversi: lo sci corto e molto sciancrato per mordere. Pensi che all´ultimo corso di aggiornamento per maestri, Colturi si scusava con noi. Aveva nevicato e non poteva mostrarci la deformazione degli attrezzi. Lo sci industriale ha tolto libertà d´espressione e portato maggiori velocità, più incidenti e l´ossessione per la sicurezza. Servono più piste-autostrade per smaltire il traffico».
Le alternative? «Stazioni sciistiche più leggere con sciovie, manovie, slittoni. Malghe e agritur che sono stati ristrutturati con milioni di euro, anziché restare chiusi potrebbero funzionare anche d´inverno. C´è un nuovo oro delle Alpi là sotto: una manovia sul prato sotto la malga è meglio dei Luna Park di plastica delle stazioni di sci. Per i bambini, ad esempio, sui quali dobbiamo investire. Una settimana bianca in una malga, quella sì segnerebbe uno stacco dalla città. E basterebbero investimenti irrilevanti. Il modello alternativo, se lo si vuole, esiste e può reggere. Non dà facili arricchimenti, ma permette alla gente di restare in montagna. Sa cosa sta succedendo in Francia? La Compagnie des Alpes, che investe in impianti solo sopra i 1.800 metri e con ottica espansionistica, vede gli utili in calo. E cosa fa? Investe in pianura, nei grandi Luna Park. Lo sci viene considerato un prodotto maturo da tutti gli analisti, che parlano di riposizionamento: après ski, dalle cene al rifugio alle discese con la slitta».
Ciao Francesca,
RispondiEliminacommento questo e i due precedenti. Tutti e tre belli ed in qualche modo collegati, si dal filo conduttore della montagna ma secondo me da un qualcosa di più ampio che è il pensiero dello sfruttamento all'infinito delle risorse delle pianeta. Questo post e quello sui costi dello sci da discesa, riflettono una mentalità ormai imperante da diverso tempo che bisogna consumare, bruciare tutto più in fretta possibile perchè solo così si "mette in moto l'economia". Nessuno o pochi parlano di beni di lunga durata, oggi non si ripara più nulla, si getta via per comprare tutto nuovo nuovo. Pensa solamente alla cultura montanara e non, del taglio nei boschi. Un albero tagliato aveva dietro di se tanti alberi "piantati in sequenza temporale e con criteri definiti", perchè il bosco continuasse a vivere. Questo aveva in sè non solo il germe di una salutare gestione e sfruttamento economico di una risorsa naturale ma anche una idea che è quella di consegnare ai nostri figli, alle future generazioni quello che abbiamo trovato, quanto meno nelle stesse condizioni. Putroppo oggi non è più così. Essendo anagraficamente molto vicino, conosco Giorgio Daidola da quando ha iniziato la sua "carriera " di viaggiatore e "telemarker" negli anni '80. Quello che apprezzo molto in lui è che con il passare degli anni non si è convertito al pensiero dominante, anzi le sue idee di un tempo le ha rinvigorite, cercando di combattere una battaglia che ai più sembra persa. Sicuramente con il suo, il tuo contributo, quello di tanti altri altri vale la pena di continuare perchè non posso pensare di consegnare a mia figlia le schifezze che adesso stiamo combinando. Scusa se se stato un po' lungo, continua così. Guido
Mi hanno accusata, Guido, di parlare da cittadina, che vive comoda ma pretende di trovare la montagna incontaminata il week end o quando va in vacanza. Me l'hanno detto i miei amici che vivono in paese e che gravitano intorno a una stazione di sci enorme, invasiva, brutta.
RispondiEliminaRicordo il paese una generazione fa, la gente che se ne andava o che si spaccava la schiena nei campi, le donne a lavare i panni alla fontana l'inverno rompendo il ghiaccio col martello, e NON voglio tornare indietro! Ma vedere il mio paese com'e' ora mi fa un'enorme malinconia.
E' per questo che mi piace Daidola: si puo' trovare una via per uno sviluppo meno devastante e impattante di questo. Si puo' e si deve se non si vuole morire di turismo.
Discorsoni eh, difficili da racchiudere in un post :)
Grazie per il tuo intervento :)