Il post di Lioa segnalato ieri mi ha fatto tornare in mente la figura controversa di Heinrich Harrer (Hüttenberg, 1912–Friesach, 2006), forte alpinista austriaco, esploratore, autore dell'autobiografico "Sette anni in Tibet", libro dal quale è stato tratto l'omonimo film con Brad Pitt.
Divenne famoso, oltre che come olimpionico nella squadra austriaca ai Giochi invernali di Garmisch-Partenkirchen del 1936, per aver partecipato alla cordata che portò a termine la prima salita della terribile parete nord dell'Eiger nel 1938, cordata che si premurò di piantarne sulla vetta la bandiera con la croce uncinata.
Già nel 1933 Harrer aderisce al nazismo entrando nelle SA (lo rivela il giornalista tedesco Gerald Lehner, sulla rivista Stern del giugno 1997 basandosi su inedite fonti d'archivio) e nel 1938, dopo l'annessione dell'Austria alla Germania, entra nelle SS. Compare in una foto orgoglioso e impettito alla destra di Hitler e in altre immagini con un gagliardetto con la svastica sullo zaino.
Nel 1939 venne incluso nella spedizione nazista al Nanga Parbat in Himalaya, fortemente voluta da Himmler, spedizione che si inseriva nella gara internazionale per la conquista delle cime più alte della terra e, così ipotizzano alcuni autori, alla ricerca delle radici della "razza ariana". Già l'anno precedente infatti Himmler aveva inviato una missione a Lhasa a cercare le prove per dimostrare che i tibetani erano i discendenti degli ariani fuggiaschi dopo la distruzione di Atlantide! (fonte: Giorgio Galli, "Hitler e il Nazismo magico")
La spedizione di Harrer si concluse prima di iniziare: allo scoppio della guerra si trovava in India, colonia inglese, dove fu fatto prigioniero e internato in un campo di concentramento. Dopo una fuga rocambolesca e 2.000 terribili chilometri a piedi raggiunse il Tibet, territorio precluso agli stranieri, dove passò 7 anni alla corte del giovane Dalai Lama del quale divenne confidente ed amico. Tornò in Europa quando il Tibet venne invaso dalla Cina.
Nel suo edificante e a tratti commovente libro "Sette anni in Tibet" nel quale racconta la sua avventura, Harrer si guarda bene da fare cenno ai suoi trascorsi nazisti e, quando gli vengono rinfacciati, si giustifica dicendo che furono dovuti alla sua ambizione di imporsi nello sport.
Nel 1957 Harrer collaborò a gettare fango addosso a Claudio Corti, ragno di Lecco che venne accusato di avere volontariamente contribuito, durante il tragico tentativo di salita all'Eiger, alla morte, oltre che del suo compagno di cordata, anche di due alpinisti di una cordata tedesca che saliva con loro per impedire loro di raggiungere la vetta per primi. La vicenda venne poi smentita, ma Harrer non ha mai fatto menzione della rivalutazione dell’alpinista dei ragni di Lecco nè si è mai rimangiato le sue sferzanti dichiarazioni.
Alla luce di questi fatti si ridimensiona non poco la portata dell'uomo Harrer e anche la lettura del suo best seller cambia parecchio di prospettiva.
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